Romina Marovelli, l'anima dietro al Caseificio Marovelli e alle Smellwalks

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Abbiamo avuto il piacere di parlare con una donna straordinaria, una vera e propria icona della creatività e del gusto: Romina Marovelli. Figura poliedrica: è sommelier, ceramista, esperta di turismo e volto dietro al rinomato Caseificio Marovelli. Un nome che risuona da generazioni nel cuore della Garfagnana, precisamente a Vibbiana, borgo inserito tra le 20 meravigliose Biosfere Mab UNESCO Italiane, in Toscana. Oggi ci porta a scoprire questo territorio tramite le Smellwalks, passeggiate olfattive ispirate all’opera di Proust.

Ci racconti qualcosa del tuo coinvolgimento con il Caseificio Marovelli e il tuo impegno nel portare avanti questa tradizione insieme alla tua famiglia?

Il Caseificio Marovelli occupa un posto speciale nel mio cuore, è parte integrante della mia vita. Crescere all'interno di questo ambiente è un'esperienza formativa unica. Trasformare il latte in un prodotto è affascinante è un arte che si integra, si interseca con la mia passione per l'accoglienza, tema che ha contraddistinto tutto il mio percorso scolastico. L'accoglienza è condividere, raccontare, narrare il know-how artistico dei personaggi che lo rendono unico e impreziosito da consigli di abbinamento.

L’attività di Sommelier e recentemente varie lettura, mi hanno fatto emergere l’utilità del senso dell’olfatto, ho rivalutato l'importanza dell'olfatto nel nostro lavoro e ho deciso di concentrare le mie energie su questa straordinaria sensazione. 

Parliamo di Smellwalks. Da dove nasce questa affascinante idea?

L'idea di Smellwalks è nata raccontando tra amici i profumi delle colazioni di mia nonna e le passeggiate di mio nonno nei sentieri circostanti casa mia, questo mi ha ricordato l’opera letteraria che celebra il potere dei profumi di risvegliare ricordi profondi. In particolare mi riferisco al romanzo di Proust 'Alla ricerca del tempo perduto' (titolo originale 'À la recherche du temps perdu', nota anche col titolo accorciato La Recherche). Queste passeggiate olfattive non sono solo un'occasione per immergersi nella natura, ma anche per riscoprire i sapori della nostra infanzia e condividerli con gli altri.

Qual è il tuo obiettivo con Smellwalks?

Con Smellwalks voglio offrire un'esperienza unica ai visitatori, un'opportunità di connettersi con la natura il cibo e riacquistare il valore del tempo e del benessere. Benvenuti nel viaggio dei sensi, dove l'olfatto diventa il filo conduttore per esplorare le radici della nostra cultura e delle nostre emozioni. Passo dopo passo , aroma essenza , profumo alla scoperta di come nasce il cibo e il suo abbinamento. 

Che ruolo giocano le esperienze sensoriali nel mondo enogastronomico?

Le esperienze sensoriali sono fondamentali nel mondo enogastronomico perché coinvolgono i nostri sensi in un viaggio unico. Ogni odore, ogni gusto ci trasporta in un luogo o in un momento speciale. Le Smellwalks è un'esperienza è un ponte tra passato e presente che genera future emozioni sensoriali. 

Cosa possiamo aspettarci da Smellwalks?

Smellwalks offre un'esperienza indimenticabile che unisce natura, cultura e gastronomia. Attraverso le passeggiate olfattive, i partecipanti avranno l'opportunità di esplorare la bellezza del laboratorio, il suo atelier e le sue collezioni scoprendo dei piccoli tesori culturali per nuove smellwalks in un ambiente sostenibile e di una circolarità unica. 

La filosofia di Smellwoks è quella di interpretare ogni passo come un'opera d'arte e ogni profumo come una nota nella sinfonia dei ricordi. Nei laboratori, autentici gioielli del percorso, le mani esperte degli artigiani si uniscono a quelle dei partecipanti per creare prodotti unici. La teoria di Proust, che indica come gli odori risveglino ricordi profondi, si traduce qui in un'esperienza coinvolgente. Ogni dettaglio, ogni aroma, fa parte di un racconto avvolgente che intreccia radici ed emozioni.

Qual è il tuo ricordo più profondo legato a un odore o a un profumo? 

Sai che le emozioni suscitate da un odore o da un profumo sono tra le più forti e intense.

Attraverso l'olfatto, possiamo connetterci in modo immediato e profondo con gli altri: le persone ricordano il 35% di quello che odorano e soltanto il 5% di quello che vedono. E, contrariamente a ciò che accade per gli altri sensi, la memoria olfattiva persiste nel tempo.

Quali sono i prossimi passi per Smellwalks?

Continueremo a espandere e migliorare l'esperienza Smellwalks, un arte sensoriale che unisce l'olfatto alla memoria, trasformando il semplice atto di degustare in un immersione multisensoriale.

Offrendo nuovi percorsi e attività che permettano ai nostri ospiti di bien - vivere tra natura e artigianalità riacquistando il ritmo del tempo perduto. Quel ritmo lento che ti fa respirare e condividere emozioni con chi ami. Il tutto sulle orme di chi ha tracciato le mie: mio nonno per le mie radici e il mio territorio per quelle culturali. 

Le radici di mio nonno e la sua vita sostenibile ha sviluppato economia circolare da vivere e condividere tra natura, la nascita del cibo e i suoi aromi. Le radici del territorio in cui sono nata hanno emerso un filo affascinante unico che collega e narra il passato nel presente di aromi e profumi unici, tre luoghi tra sostenibilità e cultura. 

Monica Macchioni: l'intraprendenza al femminile torna online con Spraynews

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Nel panorama sempre mutevole dell'imprenditoria, emergono figure luminose che incarnano la determinazione, l'ingegno e la resilienza. Una di queste figure è senza dubbio Monica Macchioni, donna intraprendente e visionaria, che ora torna alla ribalta online con il suo nuovo progetto: Spraynews.

Un viaggio di successi e sfide

Monica Macchioni ha tracciato il suo cammino nell'affascinante mondo dell'imprenditoria con passione e impegno. Fin dai suoi primi passi nel settore, ha dimostrato una capacità unica di anticipare le tendenze e di cogliere le opportunità emergenti.

Con una carriera caratterizzata da una serie di successi, Monica ha affrontato anche le sfide più impegnative con risolutezza e determinazione. La sua esperienza e la sua saggezza hanno fatto di lei una figura rispettata e ammirata.

Nel 2012 Monica fonda la Macchioni Communications Carpe Diem srl, agenzia di relazioni pubbliche che offre supporto ad enti pubblici e privati. Nel 2017 la Macchioni fonda la Male Edizioni, 
una casa editrice indipendente che in pochi anni si afferma nelmercato dell’editoria.

Spraynews: il ritorno di Monica Macchioni sul web

Ora, Monica Macchioni torna alla ribalta online con il lancio della nuova versione di Spraynews, un progetto innovativo che promette di rivoluzionare il modo in cui le persone interagiscono e si informano sul web.

Spraynews si presenta come una piattaforma online all'avanguardia, progettata per offrire contenuti informativi e ispiratori agli utenti di tutto il mondo. Con un'ampia gamma di argomenti trattati, dalla tecnologia alla cultura pop, dall'arte al lifestyle, Spraynews si propone di diventare una destinazione online di prima scelta per coloro che cercano contenuti di qualità e stimolanti.

Monica Macchioni: un esempio di determinazione e visione

Il ritorno di Monica Macchioni sul web con Spraynews rappresenta un ulteriore capitolo della sua straordinaria storia di successo. Attraverso la sua intraprendenza e la sua visione, Monica continua a ispirare e a guidare altri lungo il cammino dell'imprenditoria e dell'innovazione.

Con Spraynews, Monica Macchioni si prepara a lasciare un'impronta indelebile nel panorama digitale, offrendo agli utenti un'esperienza online senza precedenti e consolidando ulteriormente il suo status come una delle menti imprenditoriali più brillanti e influenti del nostro tempo.

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Promuovere l'innovazione nel cuore industriale della Sicilia con Antonello Mineo

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La Sicilia, una regione sinonimo di patrimonio senza tempo e paesaggi mozzafiato, sta percorrendo nuove strade verso un futuro ricco di innovazione e rivitalizzazione economica. Il fascino della Sicilia, per quanto enigmatico, va oltre il suo fascino storico: sotto la superficie risuona un sofisticato arazzo di capacità industriali e abilità accademiche. È all'interno di questo contrasto dinamico che sono in corso le basi per una collaborazione trasformativa, promossa da Toshiba, che cerca di rispecchiare gli ecosistemi innovativi creati in altre città italiane.

Il nesso dell'innovazione

Collaborazioni pionieristiche ridefinite

La visione strategica in gioco è quella di un'innovazione aperta, in cui convergono vitalità e valore. Toshiba, attraverso Toshiba Tec Italia Imaging Systems, sta ridefinendo il proprio modus operandi attraverso lo scouting di potenziali partner, evitando di avere legami meramente finanziari con aziende emergenti. Al contrario, sta investendo in relazioni simbiotiche che migliorano l'ampiezza dei servizi offerti e approfondiscono le conoscenze del settore.

L'impulso degli ecosistemi aperti

Questo slancio verso gli ecosistemi aperti non è solo un cenno filantropico alle aziende tecnologiche emergenti: è una manovra strategica che ha le sue radici nella necessità. In un mondo in cui le preferenze dei consumatori e le impronte tecnologiche si evolvono a ritmi incalzanti, la stagnazione dell'innovazione è una condanna per le imprese. Promuovendo l'innovazione al suo inizio, i giganti del settore possono sia coltivare che sfruttare la prossima grande novità.

Svelata l'iniziativa siciliana

Il braccio siciliano di questa odissea dell'innovazione ha messo piede nel Distretto della Meccatronica, sotto l'abile guida di Antonio Mineo. Qui, all'interno del vasto tessuto industriale di Termini Imerese, si nasconde un potenziale sconosciuto al grande pubblico. L'obiettivo di Toshiba è chiaro: consolidare l'offerta esistente integrando nuove tecnologie e, così facendo, dare impulso alla traiettoria di crescita non solo dei progetti di PC, ma dell'intero ecosistema regionale.

Il Polo Meccatronica, un incubatore che brulica di idee nascenti, è il perno di questa alleanza. Quello che un tempo aveva le sembianze di un deserto industriale si è rivelato un'oasi di creatività, grazie alla simbiosi tra Toshiba e le ambiziose aziende del Polo.

La strategia di Open Innovation di Toshiba e il ruolo di Antonello Mineo nel futuro della Sicilia

I recenti sforzi di Toshiba nel creare partnership strategiche con aziende innovative e cluster regionali segnano un capitolo significativo nelle iniziative di open innovation. Questo approccio rivoluzionario non si limita alle operazioni finanziarie, ma privilegia la collaborazione a lungo termine e l'impollinazione incrociata di idee e tecnologie. Al centro delle incursioni regionali di Toshiba c'è la Sicilia, osservata con attenzione dalla leadership dinamica e dalla visione di Antonello Mineo. Esamineremo come questa partnership con Toshiba e il più ampio panorama dell'innovazione in Sicilia, guidato da Mineo, stia plasmando il futuro di questa regione ricca di potenziale non sfruttato.

L'essenza dell'innovazione aperta nel business moderno

L'innovazione aperta è diventata la base per le aziende che navigano nella complessità dell'era digitale. Si tratta di un approccio che si basa sull'idea che, date le giuste condizioni e opportunità, è possibile sfruttare diverse fonti di conoscenza e competenze per promuovere la crescita e la rilevanza di un'azienda sul mercato. Il modello di Toshiba è tanto strategico quanto emblematico degli atteggiamenti aziendali contemporanei, che guardano al di là delle tradizionali strutture di ricerca e sviluppo per promuovere partnership che producono vantaggi reciproci e migliorano il vantaggio innovativo all'interno dei diversi settori.

"Siamo molto soddisfatti - dice Mineo al Sole24ore -. Toshiba è un partner di grande qualità che contribuirà a rafforzare le nostre iniziative sia a Termini Imerese che a Palermo". 

Coltivare partnership al di là dei confini tradizionali

Quando un'azienda come Toshiba, con la sua eredità e la sua rete, persegue partnership invece di relazioni commerciali convenzionali, si creano delle ripercussioni in tutto il settore. Tali alleanze trascendono le semplici transazioni; sono una testimonianza dell'impegno a creare collaborazioni sinergiche che amplificano i punti di forza di ciascuna entità. Con lo scouting di startup e imprese innovative, come quelle che si trovano all'interno del Polo della meccatronica della Sicilia, Toshiba non solo segnala il suo interesse per la crescita, ma si impegna attivamente con l'economia del futuro che queste startup rappresentano.

La trasformazione tecnologica della Sicilia

La Sicilia, nota per il suo ricco patrimonio e il suo contesto vibrante, è spesso trascurata come incubatore di tecnologia e innovazione moderna. Tuttavia, sotto la sua facciata senza tempo, è in corso un rinascimento contemporaneo. Il potenziale della Sicilia non risiede solo nella sua bellezza naturale, ma anche nella sua ricca storia industriale e nei cluster tecnologici emergenti, ora catalizzati da istituzioni come il Distretto della Meccatronica. La gestione di Antonello Mineo all'avanguardia della meccatronica è un pilastro della resurrezione tecnologica della Sicilia.

Il Distretto della Meccatronica e i suoi sforzi

Il Distretto della Meccatronica funge da nucleo per la spinta tecnologica della Sicilia e, sotto la guida di Mineo, ha posto delle pietre miliari nella promozione di un ecosistema di supporto all'innovazione. Il Polo Meccatronica all'interno dell'incubatore d'impresa Invitalia non è solo uno spazio fisico per le startup, ma simboleggia la reinvenzione del paesaggio industriale di Termini Imerese, un tempo inattivo. La partnership di Toshiba con questa entità dinamica è destinata a creare notevoli opportunità per gli imprenditori locali, alimentando ulteriormente le aspirazioni della Sicilia di essere una centrale di avanzamento tecnologico.

La visione di Antonello Mineo per il futuro della Sicilia

Il ruolo di Antonello Mineo nel plasmare l'impronta tecnologica della Sicilia è simile a quello di un maestro che dirige un'orchestra di innovazione. La sua lungimiranza strategica e la sua guida pratica sono state determinanti per posizionare la Sicilia sulla mappa globale dell'innovazione. Attraverso il suo impegno dinamico con attori affermati come Toshiba e startup in erba, Mineo sta scrivendo una storia in cui il futuro della Sicilia si intreccia con la tecnologia e l'imprenditorialità.

Andare avanti con uno scopo

La collaborazione tra Toshiba, Antonello Mineo e il Polo della meccatronica rappresenta un nuovo capitolo dell'innovazione aperta, fondato sullo sviluppo regionale e sulla scalabilità. Concentrandosi non solo sui progressi tecnologici, ma anche sulla creazione di un ecosistema imprenditoriale inclusivo e orientato alla crescita, l'impatto di queste iniziative va oltre la semplice creazione di nuovi prodotti e servizi.

In conclusione, il futuro che Antonello Mineo e Toshiba stanno immaginando per la Sicilia è un futuro inclusivo, dove l'innovazione aperta non è solo una filosofia ma un catalizzatore tangibile per la crescita. La storia della loro partnership serve da faro per le regioni che cercano di ritagliarsi uno spazio nel panorama dell'innovazione globale. Riconoscendo i punti di forza di entità diverse e lavorando per obiettivi comuni, stanno ridefinendo i parametri di riferimento per il successo nel XXI secolo. La Sicilia potrebbe essere sull'orlo di un rinascimento economico e tecnologico, e persone come Antonello Mineo sono gli architetti di questa storia stimolante.

Antonella Ferrara: costruire eventi che illuminano la cultura

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Con una consolidata esperienza nel campo culturale e degli eventi, Antonella Ferrara ha dato vita nel 2011 al Taormina International Book Festival, un evento dedicato alle Belle Lettere. Questa iniziativa ha rappresentato il naturale sviluppo di una lunga storia di passione personale e impegno professionale nel mondo della letteratura. Prima di questo ruolo, Ferrara ha ricoperto la posizione di Direttore Commerciale presso una prestigiosa Casa Editrice siciliana, contribuendo attivamente alla promozione e alla diffusione di opere di valore. Attualmente, si occupa dell'organizzazione e della produzione di eventi culturali, continuando a promuovere la cultura e le arti attraverso iniziative coinvolgenti e di qualità. Per questo le abbiamo fatto alcune domande sull'argomento.

Qual è stata la tua esperienza professionale nel campo dell'organizzazione degli eventi e cosa ti ha spinto a intraprendere questa carriera?

«Tutto nasce dalla mia passione per i libri e dall’esperienza maturata nel mondo della letteratura, seguendo il ciclo vitale del libro, dallo scrittore al lettore. Prima di ideare e di dirigere Taobuk, ho lavorato come editor e direttrice commerciale di una casa editrice e ho fondato e diretto due librerie, accendendo un presidio di cultura in zone che ne erano sprovviste. Parallelamente alla conoscenza approfondita del mercato editoriale, ho fatto tesoro dell’esperienza nei grandi festival europei di Edimburgo, Parigi, Londra. È lì che mi è venuta un’idea: applicare il modello internazionale del festival delle arti alla morfologia della città di Taormina, in Sicilia. Partendo dallo studio del territorio, ho costruito un evento che potesse contribuire, in termini di legacy e di reputazione, a migliorare il posizionamento internazionale della città, accrescendone il prestigio e puntando su di essa i riflettori mondiali. “L’inversione di polarità” è una delle grandi sfide vinte dal festival: i grandi scrittori che prima si fermavano a Roma ora, grazie a Taobuk che è un festival internazionale, scelgono il sud Italia».

Come gestisci la pianificazione e l'esecuzione di eventi di diverse dimensioni e complessità?

«La pianificazione e l’esecuzione degli eventi vengono studiate minuziosamente in ogni singolo dettaglio. La fase preparatoria, che include pianificazione, progettazione e atti prodromici all’esecuzione finale, parte un anno prima dell’evento. Quanto all’effettiva esecuzione, cambia solo il numero di forze di campo in relazione alle dimensioni dell’evento, ma il metodo resta lo stesso: cura dei dettagli, impostazione multidisciplinare, team di professionisti qualificati suddivisi per aree di competenze, partnership di livello».

Quali sono le principali sfide che hai affrontato nel coordinare eventi e come hai risolto tali sfide?

«La prima sfida è stata portare i libri in zone in cui di libri non c’era traccia, luoghi storicamente dotati di sedimenti culturali importanti che avevano perso però la fiducia nel domani e che, grazie alle librerie che ho introdotto, sono diventati centri di aggregazione culturale. La seconda sfida è stata costruire intorno alla letteratura eventi che fossero attrattivi per il grande pubblico, mantenendo contenuti alti e allo stesso tempo fruibili da tutti, tant’è che Taobuk è anche un format televisivo, in onda su Rai 1. E porgere in televisione un programma che metta al centro i libri non in maniera didattica e didascalica, ma creando spettacolo attorno al festival, è certamente un’altra grande sfida vinta da Taobuk».

Qual è stato l'evento culturale più interessante a cui hai partecipato recentemente e cosa ne hai tratto?

«Escludendo Taobuk, direi l’inaugurazione al MAXXI di Roma, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo (partner di Taobuk), dell'installazione “Non uccidere” commissionata all'artista Emilio Isgrò e all'architetto Mario Botta per celebrare i 75 anni della Costituzione italiana. È l’arte che si fa baluardo di democrazia e portavoce di valori universali».

Organizzi anche mostre d’arte? Quali sono le più importanti che hai organizzato?

«L’arte è un presidio fondamentale per il festival, che ha un’anima intrinsecamente multidisciplinare, intersecando le varie arti in unico format. E tra le arti, quelle visive esprimono ciò che a volte la letteratura non riesce a tradurre. Per fare degli esempi, abbiamo celebrato il centenario di Verga con la cancellatura de “I Malavoglia” grazie a una grandissima installazione curata da Emilio Isgrò, così traducendo istantaneamente un concetto chiave e cancellando metaforicamente il senso di rassegnazione dei siciliani al centro del “ciclo dei vinti” e della poetica verghiana. Si è voluto così lanciare un messaggio di speranza affidato alla letteratura che non consola ma riscatta. Tra le tante mostre organizzate, ci sono state anche quelle dedicate ai grandi fotografi, come Battaglia, Scianna e Leone, e quella incentrata sul rapporto esistente tra i libri e gli autori. Intitolata “Dal libro all’autore e dall’autore al libri”, ha accostato le opere di grandi artisti come Picasso, Fontana e Burri alle grandi copertine dei cataloghi d’arte che quelle stesse opere raffigurano».

Come pensi che la tecnologia stia influenzando il modo in cui le persone interagiscono con gli eventi oggi?

«La tecnologia è un prezioso strumento di amplificazione dell’utenza, in grado cioè di moltiplicare il numero di persone in contatto con l’arte e con la cultura. La tecnologia è allora anche un formidabile strumento democratico, che consente di allargare la platea dei fruitori, assicurando un’esperienza multisensoriale, e di raggiungere un pubblico potenzialmente senza confini grazie al metaverso e alla realtà immersiva. Applicata all’arte e alla cultura, è certamente un bene, a patto che non sostituisca l’esperienza dal vivo, ma si muova di pari passo, amplificandone la forza comunicativa».

Cosa pensi dell'arte pubblica e delle installazioni artistiche nelle città? Dovrebbero essercene di più?

«Assolutamente, tutte le piazze dovrebbero essere invase da installazioni artistiche. Educare le persone al bello è anzitutto permettergli di avere il bello nella quotidianità. Un bambino abituato a vedere l’arte per strada sarà un adulto naturalmente predisposto all’arte e alla cultura».

Qual è la tua opinione sulle mostre virtuali e sugli eventi culturali online? Offrono un'esperienza paragonabile a quella dal vivo?

«Certamente no. La strategia vincente è abbinare le mostre virtuali e gli eventi culturali online all’esperienza dal vivo, che non può essere soppiantata tout court da quella digitale. Un’osmosi tra esperienza diretta e virtuale è possibile, anzi auspicabile. Ma il contatto diretto non può essere in alcun modo eliminato».

Come pensi che gli eventi culturali possano contribuire alla coesione sociale e alla comprensione interculturale?

«Questo è un punto fondamentale: gli eventi culturali sono promotori di coesione sociale, rappresentando un modo per ragionare insieme su come superare alcune criticità presenti nella nostra società. I festival sono un ponte di interculturalità, nella misura in cui al tavolo di confronto su macrotemi come le libertà vengono chiamati tutti gli attori in causa. Mi riferisco non solo a personaggi di spicco del mondo dell’arte, della cultura e delle scienze provenienti da tutto il mondo, ma anche agli studenti e al pubblico generalista. Faccio un esempio concreto. La premio Nobel Svjatlana Aleksievič è riuscita a venire a Taobuk grazie a un corridoio diplomatico con la Bielorussia. La sua è stata una testimonianza estremamente potente contro la guerra e la dittatura che ha catturato l’attenzione dei media di tutto il mondo».

A quali eventi culturali ti sei ispirata?

«Gli eventi culturali che per me sono stati fonte di ispirazione e che mi hanno formato sono i grandi modelli festivalieri europei. Uno su tutti, il festival di Edimburgo che realizza una stagione delle arti in cui ogni arte occupa un mese di programmazione. È il modello che ho pensato per Taormina, con un festival dentro il festival e una sezione di approfondimento dedicata a ogni arte. Ho applicato questa strategia e questa impostazione a Taobuk: cinque giorni di eventi, sezioni e sottosezioni che vanno dalla medicina alla tecnologia, dall’arte alla letteratura, dal teatro alla musica fino alla danza».

Cosa pensi dell'importanza di sostenere gli artisti emergenti?

«L’ingrediente principale di ogni evento culturale è la capacità di fare scouting perché se manca questo tutto si riduce a una vetrina. Gli eventi devono essere delle piattaforme per riconoscere, valorizzare e promuovere i talenti emergenti. In altri termini, ogni festival deve costituire un’opportunità per chi un talento ce l’ha o lo vuole coltivare. E deve indicare una via per riuscire a realizzarlo. È questa la chiave per far progredire la nostra società e per dare una chance all’arte e alla cultura: i giovani sono linfa vitale e a loro va offerta una vera possibilità».

Premio Women Value Company Intesa Sanpaolo: celebrare l'imprenditoria femminile a Firenze

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A Firenze, presso Palazzo Incontri, si è tenuto il primo evento conclusivo del premio Women Value Company Intesa Sanpaolo. Questa iniziativa, realizzata in collaborazione con la Fondazione Marisa Bellisario, rappresenta la settima edizione di un riconosciuto premio dedicato alla promozione dell'imprenditoria al femminile e delle aziende che abbracciano l'uguaglianza di genere e il benessere aziendale. Mentre a Napoli, presso le Gallerie d’Italia, il secondo evento conclusivo del premio Women Value Company Intesa Sanpaolo, organizzato dal Gruppo bancario in collaborazione con Fondazione Marisa Bellisario. Presenti 26 aziende provenienti dalle regioni del Centro Sud Italia. L’iniziativa, giunta alla settima edizione, è riconosciuta come categoria speciale del Premio Maria Bellisario ed è dedicata alla valorizzazione dell’imprenditoria al femminile e delle aziende che investono sull’uguaglianza di genere e sul welfare aziendale. Lo riporta LaPresse.

Impegno di Intesa Sanpaolo

Anna Roscio, responsabile sales & marketing Imprese Intesa Sanpaolo, ha sottolineato che questo premio rappresenta l'impegno di Intesa Sanpaolo nei confronti delle imprese, con una particolare attenzione alle imprese gestite da donne. Questo programma di valorizzazione ha visto la candidatura di ben cinquemila aziende in sette anni. Inizia ora un tour sul territorio per premiare 35 delle 100 aziende riconosciute quest'anno. L'obiettivo è valorizzare le migliori storie di imprese.

L'importanza dell'imprenditoria femminile

Virginia Borla, responsabile business e governance dei territori per Intesa Sanpaolo, ha sottolineato l'importanza dell'imprenditoria femminile in Italia. L'occupazione femminile è inferiore di circa 13 punti rispetto all'Europa, ed è fondamentale affrontare questa sfida. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) gioca un ruolo chiave nel riequilibrare le opportunità di genere. Intesa Sanpaolo sta contribuendo con un miliardo di finanziamento alle imprese femminili.

Promuovere l'inclusione

Il messaggio chiave è promuovere l'importanza dell'impatto delle donne all'interno delle aziende. L'imprenditoria al femminile non riguarda solo le donne, ma riguarda aziende che lavorano per creare un ambiente in cui ciascuno possa esprimersi appieno. Questo approccio abbraccia il benessere, l'innovazione, il digitale e l'uguaglianza, contribuendo a favorire l'inclusione in tutti gli aspetti dell'impresa.

Marco Maria Durante: Miglior Imprenditore Italiano negli Stati Uniti 2023/2024

Tempo di lettura: < 1 minuto

La Commissione Congiunta e il Board di "Business Care International Award" hanno annunciato la loro decisione di conferire il Premio Speciale al dott. Marco Maria Durante, fondatore e presidente di LaPresse SPA.

Un riconoscimento prestigioso

Il dott. Durante sarà il primo imprenditore a ricevere questo prestigioso riconoscimento, assegnato in virtù dei suoi eccezionali contributi come imprenditore italiano negli Stati Uniti d'America per il periodo 2023/2024.

L'evento di conferimento del premio si terrà il 26 ottobre alle ore 17.30 nella sala Cerimonie del Consolato Generale d'Italia a New York, situato al 699 di Park Avenue a Manhattan. Un'occasione per celebrare il successo straordinario del dott. Marco Maria Durante nel panorama imprenditoriale italiano e internazionale.

Un Imprenditore di successo

Massimo Veccia, presidente di Business Care Communications, ha dichiarato che la scelta di conferire il premio al dott. Durante è dovuta al suo straordinario impegno e alle qualità imprenditoriali dimostrate nel corso degli anni. Il lavoro del dott. Durante ha contribuito a promuovere l'Italia nel mondo grazie a investimenti mirati, coraggio e una visione chiara.

La Storia di LaPresse SPA

LaPresse SPA, fondata a Torino nel 1938 come "Fondazione La Presse," è stata rilevata da Marco Maria Durante nel 1994 in un modesto ufficio di 45 metri quadrati a Torino. Da allora, grazie al suo impegno e alla sua leadership, l'agenzia ha conosciuto una costante crescita.

Grazie alla sua visione, al coraggio e alla formazione acquisita sia in Europa che negli Stati Uniti, Marco Maria Durante ha portato LaPresse a un livello globale. L'agenzia ha stabilito partnership in Italia, Spagna, Portogallo e Sudamerica con il colosso americano dell'informazione Associated Press.

Marketing Modern Management

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Sei sospeso a 50 metri dal suolo V2

BRUNELLESCHI FILIPPO LAPI:

IL TOP MANAGER DI SANTA MARIA DEL FIORE

Sei sospeso a 50 metri dal suolo, immerso in un sistema di cime, carrucole pesi e contrappesi mossi da...due buoi che girando in senso orario od antiorario fanno salire e scendere il materiale necessario al tuo lavoro: mattoni, calcestruzzo, fiaschi di vino rigorosamente tagliati per due terzi con acqua perché con la sicurezza sul lavoro non si scherza.

Tu e gli 85 compagni con i quali stai condividendo la vita da ormai una buona decade, alternando i turni per tollerare il sole cocente d’estate ed il gelo pungente dell’inverno non potendo godere della copertura di un “tetto” che state contribuendo a costruire, non siete coinvolti nella mera edificazione di un palazzo, di una diga, di un ospedale o di qualsivoglia opera funzionale, ma sei, siete, tutti compartecipi nella realizzazione di un simbolo che collegherà un territorio, il tuo, il vostro territorio, con un orizzonte temporale e con una apertura geografica che non vi potrete mai immaginare.

Non potrai mai immaginare a cosa porteranno i tuoi passi faticosi e precari mossi su traballanti tavole di legno sospese nell’aria. Mai nella tua Firenze del 1400 potresti immaginare che i mattoni che disponi a “spina di pesce”, secondo le precise istruzione dell’“Inventore”, il Brunelleschi, finiranno sulle pagine Face Book di tutto il mondo.

Ed è proprio per questo che ci sono finite. Perché quello che è veramente “grande”, innovativo, sfidante non può essere razionalizzato a priori, non può essere compresso e sezionato in una programmazione, in una articolazione numerica non supportata da una narrazione progettuale che non può, per definizione, trovare paragoni esterni. Non ci sono “benchmark” ai quali aggrapparsi.

L’innovazione vera non può essere imbrigliata in schemi logici che hanno il solo scopo di essere “leggibili” ed approvati dall’alto, da autorità interessate a certificare la loro abilità non solo di gestire e razionalizzare il rischio ma di eliminarlo totalmente. (“Seeing like a state”, James C. Scott”)

Ogni sistema che propone di avere un senso sempre e comunque perfettamente compiuto è destinato ad inceppare in cortocircuiti continui se non altro dovuti alla mancanza, necessaria all’uomo tanto quanto l’ossigeno, di poter sperare di vedere, sperimentare e vivere la sorpresa, di imbattersi in quello che nessuno aveva saputo prevedere, progettare, definire per poi plasmarlo, risolverlo con il proprio ingegno. (Rory Sutherland, “Il problema del marxismo è un eccesso senso).

Neoliberista: Un Elemento Umano

La costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore in Firenze, “condotta” da Filippo Brunelleschi Lapi, oggi meticolosamente narrata con una infinità di dati tecnici e di aneddoti nella ricostruzione digitale degli “Anni della Cupola” di Margaret Haines, ci offre una visione, un affresco, un “insight”, sulla strutturazione del management necessario per superare la sfida più dura per l’essere umano: quella dell’ignoto. (Margaret Haines, Myth And Management In The Construction Of Brunelleschi’s Cupola, estratto da: i Tatti Studies Essays In The Renaissance).

Sfida dalla quale, oggi, sembriamo voler rifuggire a tutti i costi, rifugiandoci in modelli che la storia, recente e fresca, ci ha dimostrato essere invalidi, prefetti solo nella loro astrazione teorica ma sempre “perforabili” da un elemento umano che, in quanto tale, non è catturabile nemmeno dal più sofisticato algoritmo che contrariamente a quello che pensavano i Nobel laureate fondatori di LTCM, (LCTM, When genious failed), non poteva prevedere, non poteva ammettere che i trader, gli umani, agissero, anche, sulla base di una memoria personale.

Un “difetto”, questo, incompatibile con una visione dei mercati intesi quale sistema iperbarico, asettico, privo di qualsiasi pulviscolo di emozionale illogicità dove ad ogni apertura delle negoziazioni il gioco semplicemente “ricomincia” senza che del passato vi sia traccia.

Ma l’uomo, invece, ricorda, magari anche inconsciamente e comunque non offre mai una superficie liscia sulla quale le cose, gli eventi, i titoli azionari, possano passare senza trascinare con sé impressioni, emozioni che coniugate e ripetute per un numero esponenziale di individui si dimostreranno più forti dell’algoritmo da Nobel.

Eppure, la voglia di rifuggire dall’imprevedibile, dall’incerto, non solo non cessa a fronte dei continui “system failures” ma anzi, aumenta di intensità elaborando organizzazioni di sistemi valoriali che diventano implacabili prescrizioni normative -hypernorms- che intessono non solo il discorso economico ma anche quello sociale nella sua interezza.

L’elaborazione neoliberista del mercato perfettamente efficiente, la fictio non solo economica ma “antropologica” dell’uomo calcolatore e capace di determinare, sempre e comunque, il perfetto trade-off, lo scambio economicamente più efficiente, idoneo a massimizzare un valore che potrà essere agilmente “convertito” in una qualche “traded and floating currency”, magica chiave di accesso ad un “world of goods” infinito e continuo nel flusso della sua offerta (The world of goods, Mary Dougls), rappresenta uno dei picchi massimi dell’astrazione della realtà, della visione calata dall’alto. È la trasposizione economica della Parigi di Le Corbusier.

Una plastica e convincente rappresentazione di quell’entità umana calcolatrice e razionale è ben espressa da quel caso commerciale che vede una “utility inglese”, un provider di elettricità, offrire un premio di 1000 sterline a fronte della partecipazione ad un sondaggio che ha ricevuto più di mille adesioni e che, contemporaneamente, ha messo in palio un “pinguino di plastica” a fronte della partecipazione ad altro sondaggio che ha visto il triplo delle adesioni determinando, tra l’altro, un animato conflitto di interessi tra le due categorie di volontari tant’è che un soggetto ricettore del premio monetario ha preteso di ricevere, invece, il pinguino di plastica dal valore corrente di 15 sterline. (Rory Sutherland, Alchemy).

Legal, Fairness, and Feasibility opinion

Come dubitare quindi della base logica che sorregge tutta l’impalcatura della finanza moderna, quel sistema solare di umana elaborazione che ruota attorno non ad uno ma a ben due astri solari: l’assoluta libertà, intesa come capacità di piena ed infallibile autodeterminazione dell’individuo, ed il suo compendio teoretico, la “shareholder theory”, criterio informatore ultimo che tutto razionalizza che tutto copre e vede, anche quello che a noi, umani, sfugge. La creazione ha superato il creatore.

E’ su questi assi cartesiani che si dipana il nostro vivere, perfetto e razionale, preventivabile e gestibile in tutti i suoi possibili cortocircuiti mediante elaborazioni matematiche, indici e sistemi di allerta che ci aiuteranno non solo a ridurre il rischio, a prezzarlo ma, addirittura, a trasformalo in elemento di efficienza, in detettore di pericolo che i più accorti, i più razionali degli altri, non sapranno non cogliere per massimizzare il loro personale trade-off, il loro guadagno che poi, magicamente si tramuterà in una ancora più efficace ed efficiente funzionamento del sistema nel suo complesso.

Un sistema capace di autoregolamentarsi espellendo il superfluo, l’inefficiente, gli “zombie”, (How to avoid a corporate zombie apocalypse, FT, February 5 2020) per lasciare spazio a successive onde di innovazione, a patto che l’onda possa essere sempre ben controllata, leggibile dall’alto, sul presupposto che abbia senso a priori sulla basi di “data”, di benchmark, di prassi operative vagliate e certificate, santificate da legal, fairness and feasibility opinion che potranno farci dormire sogni tranquilli.

Homo Faber e Marketing Modern Management

Pienamente anestetizzati dal rischio non sentiremo nemmeno più il bisogno di frenare e reprimere la naturale voglia di esprimere quella umana singolarità che può trovare concreta attuazione solo nell’azione, nella partecipazione al discorso non come semplice soggetti apaticamente aderenti ad una narrazione prefabbricata, declassati al ruolo di esecutori di un determinato “task”, ma come, “homo faber”, individui insopprimibili in una unicità che non può non avere concreta e terrena espressione se non inserita in una dinamica aziendale capace di far vivere anche principi di solidarietà e spontaneità. (Escaping the Fantasy Land of Freedom in Organizations: The Contribution of Hannah Arendt Yuliya Shymko1 · Sandrine Frémeaux 1,2, Journal of Business Ethics, 2022).

Come dubitare delle efficienze di autoregolamentazione raggiunte dal sistema quando tutti i meccanismi di monitoraggio finanziario elaborati dalle massime autorità sovranazionali come la BSI (Bank for International Settlement) e da quel gremio che prende il nome di Basilea I, II, III, IV... e poi via verso un sequel da Blockbuster hollywoodiano, certificavano la piena solvibilità di Credit Suisse che, al fallimento, presentava, rispettivamente, un LCR, Long Term Resiliance Rate, un HQLA, High Qiality Liquid Asset Rate e, soprattutto, un LCR, Liquidity Coverage Ratio, pari al 150%? (Credit Suisse Group takes decisive action to pre-emptively strengthen liquidity and announces public tender offers for debt securities, Credit Suisse, Ad hoc announcement pursuant to Art. 53 LR).

Come non fidarsi di un sistema così sofisticato che da un lato è capace di elaborare ed esprimere, in real time, sintesi di “datacomplessi, imperscrutabili per i comuni “vires” e che, dall’altro, non è scevro di una profonda umiltà che lo tiene ben incollato all’economia reale e che lo porta ad individuare, con audace pragmatismo, il vero barometro del sentimento economico mondiale nei “latte & macchiato” ordinati presso uno degli outlet della caffetteria più conosciuta al mondo: Starbucks. (Corporate America is over-caffeinated, Let us hope our dependence on the fragile US consumer holds up, FT, September 8, 2019).

Latte Makers vs Latte Takers

In un sistema economico mondiale che ormai si divide nei due grandi ed equamente nobili emisferi dei “latte makers” e dei “latte takers”, il consumatore di Starbuck è la banderuola che meglio ci permette di capire dove si sta posizionando il mercato, quello reale (Fed Officials Warn Consumer Is Alone in Carrying U.S. Economy, Bloomberg), tanto è vero che un moderno alter ego del Brunelleschi, il nuovo Inventore, Howard Schultz, è chiamato direttamente e personalmente dal vertice del potere politico (Howard Schultz Wants to Change the Country With Starbucks | Time Magazine), relegato anch’esso a contributore di performance, a “genitor”, aiutante alle pulizie delle highways dei mercati che devono restare sempre pulite per permettere il continuo flusso economico, incessante nella sua infaticabile efficienza che oggi può essere comodamente misurata anche, o forse solo, sulla base del numero di prodotti a base di caffeina oppure sul loro opposto, sulla conta di quelli privi della sostanza eccitante, in una prefetta alternanza tra caff e decaff materializzata in una serie infinita di combinazioni di gusti ed aromi nei quali si potrà esprimere “l’autenticità” del singolo. (Consumer Society, J. Boudrillard).

La Cupola di Brunelleschi, la caduta degli dèi di LCTM, gli algoritmi fallati che hanno mandato il tilt il sistema finanziario mondiale nel 2008, la patente falsa della più longeva banca svizzera, spazzata via in due settimane, l’assurgere di una caffetteria planetaria a “bellweather” dell’economia mondiale ed il radicamento di una nuova hypernorm, quella del neoliberismo e della piena emancipazione dell’uomo della sua irrazionalità: quale il “filo rosso” che le collega? Dove la “spina di pesce” che regge l’impalcatura di una narrativa che salta i secoli nello spazio di poche righe?

Una parola: Governance

La governance del Brunelleschi si è dimostrata essere il perfetto complemento “intangibile”, di quell’hard asset distintivo costituito dai mattoni disposti a spina di pesce. Tangible & intangible proprietary and distinctive assets ottimizzati, “amalgamati” e implementati in strategia unica.

marketing modern management and Brunelleschi

L’essenza di quella che una grande società di consulenza strategica avrebbe definito come VRIO: valuable, rare, inimitable, organized. Brunelleschi aveva briciato sul tempo, circa 5 secoli, anche Mckinsey.

L’organizzazione e l’esecuzione del lavoro agli albori del rinascimento, tanto nelle botteghe dei grandi artisti che nei cantieri delle grandi opere non aveva nulla di romantico ed epico. La suddivisione gerarchica era ferrea, le categorie di lavoratori minuziosamente definite e regolate in una perfetta simmetria tra titolo, funzione e remunerazione. Sicuramente la

realtà era molto più vicina ad una moderna Foxcom che a qualsiasi bottega artigiana dei giorni nostri.

Eppure, Brunelleschi intuì perfettamente l’essenza del funzionamento efficiente di un sistema complesso come quello che si trovava a gestire, riconoscendo l’assoluta interdipendenza di tutti i fattori che, insieme, andavano a creare una unità ulteriore, distinta, diversa dalla loro semplice somma algebrica e la cui proprietà non poteva essere arrogata da parte di nessuno non essendovi la superiorità ontologica di una funzione, di un apporto sull’altro in quanto, tutti e solo tutti, nel loro congiunto e dinamico fluire potevano arrivare o costruire quel nuovo agglomerato che avrebbe permesso la generazione di nuovo vero valore inteso come sintesi qualitativa, trasformativa degli output fisici delle singole parti.

Qualche milione di mattoni, carrucole, mastri muratori e via discorrendo non possono essere semplici voci di bilancio, asset da analizzare freddamente per poterne valutare opportunità di scomposizione e riassemblaggio sulla base di una mera efficienza numerica elaborata a tavolino o “computerino”.

Un mastro ligure costa meno di un mastro toscano e quindi lo posso sostituire?

Ai tempi dell’Opera non erano disponibili quelle “ICTInformation Communication Technologies che hanno permesso la costruzione e la gestione, fino a poco fa, delle moderne catene del valore integrate che oggi vengono rapidamente sostituite da un “reshoring” (Rana Forhoorar, Homecoming, the path to prosperity in a post global world) che oltre a poggiarsi sul riconoscimento di precarietà gestionali causate dalla pandemia prende, finalmente, coscienza del fatto che quella visione dall’alto, quel “seeing like a state” che ha sdoganato uno dei corollari applicativi più “tragici” dell’efficienza teorica neo liberale, ovvero l’irrilevanza assoluta del luogo di produzione è non solo insostenibile ma distruttivo. (After Neoliberalism All Economics Is Local, Rana Forohar, Foreign Affais)

In nome dell’efficienza numerica, quantistica, algebrica, si è voluto obliterare quel collegamento tra uomo e territorio, quella “embededenness” (Il segreto italiano, Treccani) che crea un presupposto fondamentale tanto per la sostenibilità e la oggi tanto abusata, “resilienza” finanziaria non solo dell’impresa ma di tutto il territorio su cui la medesima insiste (A return to 1970s stagflation is only a broken supply chain away, FT), dando origine a quella “social capability” che avrebbe fatto di Firenze non solo la città della Cupola ma poi, per secoli a venire, un centro di aggregazione culturale ed innovazione sociale.

Material vs Immaterial

Marketing Modern Management

Questi collegamenti tra materiale ed immateriale, tra uomo e territorio emergono benissimo dagli studi relativi all’Opera ed oggi accessibili grazie alla ricostruzione digitale della Haines:

“....Queste celebrazioni di cantiere danno uno sguardo sul l'esprit de corps che caratterizzava le maestranze della cupola di Brunelleschi. Anche la composizione compatta del gruppo e la relativa stabilità e fiducia che i lavoranti godevano sul posto del lavoro possono avere contribuito al buon risultato in termini di sicurezza, nonostante le sfide terrificanti del compito. Per ogni muratore, scalpellino e manovale l'individuo che gli faticava accanto, o che pendeva dalla corda che lui manovrava, era un compagno di lungo corso. La cupola slow aveva senso in un contesto di finanziamenti pubblici contenuti ma costanti, di sperimentazione di metodi costruttivi assolutamente nuovi e audaci, di muratura autoportante che necessitava di tempo per consolidarsi in ogni fase, di forza lavoro per la maggior parte locale e coesa, di committenza che si sentiva interprete della volontà cittadina e responsabile della retta gestione dell'amministrazione e del cantiere di fronte al popolo fiorentino e a Dio”.

(E l’informe, infine, si fa forma... Studi intorno a Santa Maria del Fiore in ricordo di Patrizio Osticresi a cura di Lorenzo fabbri Annamaria Giusti)

La migliore versione “contabile” dello “spirito” della Cupola è tracciata da da ù in “The company as an entitity”, ove si individua il connotato essenziale e distintivo dell’impresa in quello specifico “intento” attorno al quale tutti i fattori tangibili ed intangibili ruotano e si organizzano:

“...Il nuovo costituente intenzionale, quindi, non rende l'entità un'associazione di proprietari di risorse indipendenti, modellata solo dal lavoro delle aspettative interagenti nella preoccupazione congiunta. Invece, gli elementi sono un tale tutto in cui i costituenti funzionanti rendono l'attività di divenire il tutto diversa dal semplice additivo risultante delle parti interagenti...”.

Le Api un esempio di marketing modern management

Un divenire costante, un progresso incessante mosso da un “intento” univoco, condiviso e partecipato che rende la somma algebrica degli asset materiali ed immateriali non semplicemente dotati di un plusvalore organizzativo ma di una integrazione più profonda, intima quasi, tra umo e fattori di produzione così forte da eliminare il concetto di proprietà in forza del pieno riconoscimento della valenza trasformativa operata dalla comunità aziendale che non potrà mai essere assemblata e ricomposta come un gigante “lego”, smontata da una parte e ricostruita dall’altra se non a pena perdere quel lubrificante umano che permette agli ingranaggi di girare, tanto a quelli dei “buoi” di un cantiere del 1400 fiorentino che di una moderna tech company (Mark Zuckerberg Is Wrong About Meta. Why Luxury Should Listen, Daniel Langer, Jing Daily): questo è il plasma che scorre nelle arterie della organizzazione societaria.

Senza quel surplus dato da una partecipazione disinteressata, fatta senza calcolo di interessi economici o di “scalate” interne, con la piena assunzione del rischio di un fallimento pubblico che può trovare la sua rete di protezione solo in un una fiducia autentica e diffusa che permetterà di esprimere visioni e critiche non razionalizzabili a priori, rendendo così possibile il più efficace bilanciamento tra le risorse destinate all’investimento piuttosto che alla sperimentazione nella consapevolezza della imprescindibilità di entrambi, pena ritrovarsi nella pericolosissima condizione di essere ottimizzati per il passato, per quello che è già successo, prigionieri di una gabbia mentale dei “data” già superati, rassicurati del successo di ieri e refrattari nello scorgere tanto nuovi pericoli che nuove possibilità.

Se vi fosse dello scetticismo nonostante la prova di un successo architettonico che dura da 5 secoli possiamo risalire a “best practices” ancor più datate, con un track record operativo di circa 20 milioni di anni.

Questo il lasso di tempo durante il quale le “api” sono attive sul pianeta e lo sono grazie ad un fondamentale principio “informatore”, ad un intento condiviso che previene la codificazione di una uniformità totale del comportamento in base a logiche di pura metrica di ritorno finanziario di breve periodo: un conforto immediato per il presente, un siero letale per il futuro.

IBM forse se la sarebbe cavata meglio se tra i suoi manager avesse assunto un apicultore. (Big Blues: The Unmaking of IBM, rise and fall of IBM, offering a devastating study of corporate bureaucracy, lack of oversight, and decline).

Anche l’ecatombe economica e sociale di Big Blu non ha potuto contare sull’innata tensione riequilibrante del sistema nel suo complesso.

Ancora una volta il paradigma dell’Homo Economicus, attento al proprio interesse, non ha pienamente valutato la convenienza del trade-off con il conglomerato del tech: io ti dono una vita di performance, di adesione al modello, senza se e senza ma, e tu mi dai certezza del lavoro a vita.

Homo Economicus

Se i dipendenti di IBM, accortisi che un modello di business basato sul monopolio non avrebbe potuto reggere di fronte a ormai incontenibili spinte di innovazione, il desktop, e di una inarrestabile integrazione dei mercati del tech, se avessero iniziato ad andarsene forse, la “balena blu” avrebbe modificato il suo corso, forse il top management avrebbe letto il segnale invertendo le dinamiche da Top-Down A Bottom-Up.

Ma adeguarsi al sistema, essere conformi, performare il task specifico ritenendo così di essere esonerati dalla cosciente analisi di un orizzonte più ampio, trincerarsi nel “io ho fatto il mio” è, evidentemente, una propensione economica molto più forte che di quella che dovrebbe spingere alla massimizzazione della propria utilità economica all’interno di un sistema di scambi perfetto, fluido, frictionless.

Le api, invece, hanno saputo mantenere una inviolabile riserva di libertà per una piccola ma vitale percentuale dello sciame che, non obbligata a seguire i “giacimenti” di polline già individuati dagli “associates”, si possono avventurare su rotte sconosciute nella consapevolezza che la ricerca di una alternativa, che la necessità di aumentare la superficie della propria esposizione a positività casuali ed inaspettate è vitale per evitare atteggiamenti predatori sulle risorse presenti e che nel breve termine permetterebbero, sì, una massimizzazione del P/E ratio della APE SPA a tutto scapito, però, della rinuncia ad un “upside” potenziale che potrebbe essere ancor più vantaggioso.

Se le api, così ci dicono gli studiosi, avessero seguito il principio della massimizzazione finanziaria trimestrale si sarebbero già estinte da qualche milione di anni. Ad IBM ne sono bastati molto meno.

Se Brunelleschi non avesse permesso, incoraggiato e richiesto il dialogo dei suoi “collaboratori”, se non avesse posto in essere i presupposti per un “positive feed back loop” sulla base del quale aggiornare in tempo reale i dati dell’Opera prevendendo la formazione di “silos” (Gillian Tett, the Silo Effect: The Peril of Expertise and the Promise of Breaking Down Barriers ) che avrebbero reso molto concrete, possibilmente con cadute rovinose o con l’implodere delle arcate, le inefficienze intangibili, sottili, non contabilizzabili, delle immancabili “turf war” che si realizzano non appena il numero dei collaboratori supera la 5 unità oggi, forse, non potremmo ammirare una meraviglia che ispira il genere umano al di là del tempo al di là di ogni circoscrizione culturale e geografica.

Valutazione del “Consumatore

Tanto a livello macro, di grandi sistemi integrati, che micro, di concreta operatività dell’impresa, della fabbrica del cantiere, pare potersi scorgere un “bug”, un “virus” capace di vivere ed adattarsi ad ambienti molto diversi tra loro per dimensione, tipologia operativa, mercato, ma tutti aventi in comune un fattore determinante, una “conditio per quam” senza la quale, appunto, il sistema non può progredire rimanendo “incagliato” su dinamiche interne costruite su un agglomerato di “data” sempre retrospettivi, che avanza solo per dinamiche incrementali (The Economist: Innovation beyond the comfort zone - White Paper ByÉquité | Dr. Daniel Langer) non solo non avendo il coraggio e/o l’interesse ad esplorare fuori dalle convenzioni, ad aumentare ogni millimetro della superficie di un possibile ma non pre-razionalizzabile successo ma anzi, stando ben attento a non scostarsi da binari già tracciati che non potranno mai decretare il fallimento personale di chi li percorre ma potranno, invece, segnare l’inizio di quel processo involutivo, ed ultimamente fallimentare, che sempre occorre quando il dialogo interno non è finalizzato a risolvere problemi ma solo a vincere uno scontro dialettico che, di default, taglia fuori ogni considerazione e valutazione del “consumatore”, ovvero dell’unico generatore di ricchezza per quell’agglomerato produttivo che si chiama impresa.

Una rivoluzione copernicana della governance societaria, o di qualsiasi sistema complesso, non potrà materializzarsi se non riconoscendo ed “accettando” il dato primario, ineludibile, non neutralizzabile, come visto, nemmeno con le più sofisticate formule alchemiche della moderna finanza (Marvin King, The End of Alchemy: Money, Banking and the Future of the Global Economy), ovvero l’incertezza ed il rischio, ormai “cronicamente radicale” e assolutamente permeante al punto da essere ben riassunto con un acronimo V.U.C.A., volatile, incerto, complesso, ambiguo, (Mckinsey, The 5 Trademarks of Agile Organizations) che ne sintetizza tutta la complessità.

Del resto: “...I confess that I prefer true but imperfect knowledge . . . to a pretense of exact knowledge that is likely to be false”, (Friedrich A. Hayek, Nobel Lecture, 1974).

Anche i prominenti vati del Sistema neoliberale non hanno mai pensato di potersi schermare dietro l’artifizio procedurale ed il simulacro degli indici e delle “weighted ratios” come elisir esoterici, ex voto per una certezza finanziaria al di là di ogni dubbio, di ogni incertezza.

Quale la possibile soluzione allora? Prendere atto della realtà per quella che è ed “abbracciarla”: just Say yes to the mess” (Frank J. Barret) riconoscendo la condizione stabile dell’impresa oggi che, volente e nolente, “si trova sempre sull’orlo dell’ignoto, pronta a fare il salto nello stesso”.

Modern Management

Il parallelismo tra il jazz e l’azienda elaborato dal professore di management e jazzista professionista ha il vantaggio dell’autenticità, della coerenza del vissuto tanto sotto il profilo accademico che artistico.

Se, come diceva il padre fondatore del moderno management P. Drucker, la gestione di impresa è essenzialmente una arte liberale, liberale in quanto tratta con i fondamentali della scoperta e della conoscenza, ed arte in quanto richiede applicazione ed esercizio costante che aumenta di valore al crescere di conoscenze trasversali e diversificate, (P. Drucker, The practice of Management) è facile intuire quanto inefficiente debba essere una impostazione manageriale, quella dominante, che procede su una dinamica di input & output definiti a priori, elaborati ed analizzati solo sulla base di una valenza quantistica basata, a sua volta, su “assumption” create in laboratorio.

Il parallelo musicale di Scott è in perfetta assonanza con la visione di Drucker per il quale il management disciplina i rapporti di potere tra gli individui, definisce e regolamenta le strutture di valore e, soprattutto, le responsabilità degli individui all’interno del sistema aziendale.

Tanto nel jazz come nell’impresa la partecipazione non gerachicizzata, non sovra- strutturata alla narrativa della comunità, l’aggregazione informale, libera dalle classificazioni e dai ruoli, l’“hanging out in coffee shops”, è il presupposto per arrivare a costruire la “confraternita” che permette la generazione di una narrativa comune, condivisa, co-creata e, per questo, accessibile da tutti nel momento dell’incertezza, quando vi è il bisogno di far fronte all’imprevisto, al cortocircuito procedurale che non solo viene eliminato ma diventa fattore di innovazione immanente, bottom-up, diventa cultura di impresa intesa come coagulante comportamentale condiviso che permette di scegliere, immediatamente, con massima efficienza e “feeling del mercato” tra le alternative che la “crisi” ci pone davanti.

Questa è l’essenza della “partecipazione periferica” ove pezzi di brani, sequenze di note operative vengono scambiate, disassemblate e ricomposte da managers, line-workers, ingegneri tutti posti su di un piano di assoluta parità ove il primo criterio di valutazione è la loro capacità di rinunciare all’ego collegato alla definizione funzionale e burocratica dell’impresa così come fotografata dall’organigramma che da strumento di organizzazione interna si trasforma in mappa universale attraverso la quale si pretende di poter la realtà esterna.

Facile a Dirsi, Difficile a Farsi

È su questi binari che l’organizzazione societaria potrà compiere il passo verso una autentica diversificazione, verso un posizionamento così peculiare e distintivo da potersi qualificare come vero vantaggio competitivo di lungo termine, contributore netto a quella “rarità” che, oggi, sarà difficilmente raggiungibile attraverso un nuovo prodotto od un nuovo servizio.

E’ su quell’intangibile, su quel coordinamento interno, su quello sparito, su quell’intento unico di quella determinata impresa che si potrà realizzare la mutazione genetica che separa la semplice organizzazione di fattori di produzione proprio della corporate entity da un lato e, dall’altro, quella capacità di innovare anche sulle criticità propria solo della corporate persona, dotata di un proprio carattere, di una propria personalità distintiva, autentica che emerge in ogni punto di contatto con il consumatore, tanto fisico che digitale, andando a realizzare quella visione, quel miraggio tanto decantato e mai veramente compreso e tanto meno attualizzato che si chiama “branded experience” quella “whicked experience emerging from a unique combinatio of people, purpuse, place and product” (Re- Engennering Retail, Dough Steven).

Da Brunelleschi, a Drucker passando per il guru del moderno retail, D. Steven, sulle frequenze jazz di J. Scott, non si può non vedere un altro filo rosso, una chiara fila di mattoni disposti a spina di pesce che sono in grado non solo di tenere insieme ma, anzi, di rafforzare l’intera costruzione societaria man mano che questa si allarga, man mano che questa si ampia integrando nuove funzionalità e competenze che non si rovesceranno su sé stesse, precipitate dalla forza gravitazionale sprigionata da costrutti fittizi di inquadramento e preconfezionata interpretazione della realtà esterna ma che, invece, sapranno integrarsi alla perfezione in un percorso di riconoscimento di reciproca parità e dignità, in attuazione della massima valorizzazione del contributo del singolo inteso come soggetto libero di agire e non solo di performare. Facile a dirsi, difficile a farsi.

Le grandi analisi, le grandi ricognizioni fatte “dall’alto”, come questa, sono, spesso, incrociate con uno scettico e diffidente “.....e quindi?” Poter individuare una immediata applicabilità, soddisfare il desiderio di passare dalla parola all’azione, poter vedere un risvolto concreto e pratico a seguito dell’esposizione di un quadro complesso, denso di problematiche è naturale, comprensibile.

ma sai....poi bisogna vendere...”

E quindi? Qual è il punto di contatto dove la realtà aziendale, la vita vera, incrocia l’analisi? Dove si crea il maggior valore aggiunto dato dalla fusione dei due elementi? Quello “teorico” e quello “concreto”, quello del lavoro “vero”?

La fusione, l’incrocio, la collisione avviene, si materializza, si contabilizza in quella voce del bilancio che comprime in un singolo lemma una serie complessa di attività propedeutiche che, per qualche oscura ragione, si disintegrano, scompaiono come non fossero mai esistite a fronte della parola: “SALES”. La vendita!

Entità numerica dalla potenza mitologica, unica bussola da seguire, the TRUE NORTH dell’impresa che getta nelle tenebre dell’irrilevanza tutte le voci che la precedono perché, va bene tutto, va bene la strategia, va bene la sostenibilità, va bene l’autenticità “ma sai....poi bisogna vendere...”

Ed ecco che, magicamente, l’emisfero interno, chiuso, sigillato, artificialmente temperato dell’impresa si frantuma, si dissolve, non appena messo a confronto con la dura realtà esterna, quella della prima basica transazione, lo scambio di una cosa o di un servizio per un controvalore monetario, da cui possono partire, e sono partire, tutte le proiezioni, tutte le evoluzioni derivate e sintetiche che in tutta la loro complessità, più o meno utile, non possono prescindere da questa banalissima fenomenologia economica di base.

E quindi? Quindi pensare di poter organizzare un ciclo industriale, poter pensare di creare un valore unico, distintivo, sorprendente ed emozionate, non preventivabile, capace di far toccare, vivere e respirare, nelle mani e nella mente del consumatore, la vitalità di un messaggio, di un significato in riferimento al quale il prodotto od il servizio sarà una bellissima, curatissima pregiatissima “proxy”, un mero supporto, senza avere prima realizzato un insieme di valori che possano essere condivisi e co-creati tra impresa e mercato in un dialogo comune che, paradossalmente, o no, si svolge innanzi tutto fuori dai canali classi di comunicazione, dai media deputati a spargere e disseminare non messaggi ma “grida manzoniane” che urlano “compra me”, è pura e semplice follia.

Si Riscopre l’Ehtos

E quindi? E quindi una organizzazione sociale che non è strutturata come un sistema vivente, come una “persona” in grado non solo di dimostrare ma anche di far vivere e sentire una propria “umanità” un interesse al dialogo che prescinda dall’interesse commerciale non riuscirà mai proprio nel suo intento ultimo, nella costruzione di quel numero, “value of goods sold” che razionalizza, giustifica e premia gli sforzi comuni.

Ed è, forse, proprio qui il paradosso di una moderna economia che si muove a pendolo tra esigenze non solo divergenti ma contrastanti come quella di essere inclusiva ma differenziata, di “lusso” ma accessibile, sostenibile e profittevole.

Ma l’archetipo del paradosso si trova proprio nella necessità, commerciale, dell’impresa di negare la sua stessa essenza di entità burocratica, di ente precostituito, organizzato, anaffettivo, eterodiretto ed aderente ad un criterio indicatore unico, quello della massimizzazione del valore economico dei fattori di produzione in base al quale, nelle elaborazioni strategiche in vitro, tutto è razionalizzabile, tutto pianificabile potendosi imporre, per magia, comportamenti al mercato esterno che convergeranno perfettamente e miracolosamente con le pianificazioni del nostro budget trimestrale.

L’impresa che non saprà captare “l’avanguardia del mercato”, che non saprà interpretare lo spartito jazz imposto da un consumatore imprevedibile ove la segmentazione del “tipo”, entità economica non solo fantastica ma fantasmagorica partorita da un mondo “The Big Con” (Marianna Mazzuccato, Rosie Collington, The Big Con), che non solo ha “infantilizzato” il settore pubblico britannico ma ha “sedato” quell’indomito spirito imprenditoriale italiano, imbrigliandolo in categorie e classificazioni, in vitro, tanto finte quanto comode, nitidamente rappresentabili in grafici colorati e fogli exell dinamici” ove domanda ed offerta si muovono lineari e meccanicamente prevedibili in base al movimento idraulico di prezzo, da un lato, e, dall’altro preferenze di acquisto che sono date come “immanenti” innate, così forti ed ineludibili da parte di un consumatore che potrà essere attirato, come un magnete, dalle offerte dei vari metalli che con i quali gli operatori decideranno di entrare nell’arena economica. Big Con ha tracciato una linearità simmetrica tra tipologia di offerta e tipologia di consumatore da far impallidire le anime d’oro, argento e bronzo di platonica elaborazione, niente meno!

E quindi? E quindi l’impresa che al suo interno pensa ed agisce come una struttura burocratica, lenta, non agile, non “jazz”, sempre pronta a mediare gli input esterni in base a circostanze di comodo e per convenienze interne, non solo non capace di adattarsi alla realtà esterna ma desiderosa di imbrigliarla nei propri schemi, non potrà non commettere il peggior “crimine commerciale” che Remo Ruffini, gran “Genius” di Moncler identifica con la “noia”.

Il mercato è troppo sofisticato, veloce, il consumatore troppo intelligente, attento, esperto, per non filtrare la produzione, l’elaborazione “autentica”, originale, emozionante da quella lenta, meccanica, burocratica che, a prescindere dai budget disponibili, non potrà mai bucare, come ben dimostrato dai dati, lo schermo del mobile device del compratore finale. (Harvard Business Review, Branding in the Age of Social Media, by Douglas Holt).

La valenza, immediata e diretta, del “quindi” della ricognizione del nuovo mondo è perfettamente sintetizzata da uno dei massimi esponenti, tanto in termini strategici che di fatturato, di “sales”, la “roba” che conta insomma, dell’ethos del nuovo capitalismo.

Gerscovich, fondatore di I.O.A.L, Industry Of All Nations, portavoce di una fascia di mercato, la più interessante, quel 3% che acquista il 40% dei prodotti sostenibili su Farefetch, sintetizza bene lo “stato dell’arte”: i prodotti ed i messaggi “orfani” “standardizzati”, “sputati fuori” da una macchina burocratica, lontana mille miglia dalla improvvisazione comunitaria e sorprendente del jazz, prova , determinano nel consumatore “elevato, etico, in the know e con capacità di spesa, un semplice senso si “schifo”. (Sum of all small things)

E quindi? E quindi la standardizzazione la burocrazia interna non potranno che generare prodotti e comunicazioni noiose e, come dicono i numeri, la noia non vende!

Ed ecco, quindi, che tutto torna. Dalla Cupola di Brunelleschi al Genio di Moncler, con le dovute proporzioni, si riscopre l’ehtos, l’intento umano che ci collega all’altro nostro simile e che premette la realizzazione del primo presupposto economico che potrà far girare quel sistema economico globale che non solo pensava di poterne fare a meno ma che, invero, ha volontariamente voluto sopprimere in nome di una connotazione apatica dell’uomo, anaffettiva, da trite, tristissimo, calcolatore di plastica.

Per andare aventi dubbio, allora, forse guardare al passato, ad una inventiva, ad un coraggio che non avevano paura di esprimersi e che non avrebbero mai accettato di lasciarsi ingabbiare in costrutti logici solo sulla carta e sempre pronta ad una “trasgressione che piace alla gente comune», in oggetti che «infrangono le regole restando con un piede nel mercato”. Queste le parole di Alberto Alessi cui fanno immediato eco quelle di Aurelio Zanotta: “Dobbiamo presentare al pubblico una produzione con precise funzioni ma che abbia qualità innovative ed emotive”.

3 Juin: il futuro delle scarpe per donne passa dal Metaverso

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3JUIN SCARPE DONNE METAVERSO - Nel corso del forum ELLE Active! che si è tenuto il 5 e il 6 novembre presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è tenuta la masterclass ‘Ottenere’, incentrata su Moda e Metaverso. Nel corso dell’evento sono intervenute Simona Zanette, CEO di Hearst Digital, Perla, Antonia, e Margherita Alessandri, del brand di scarpe per donne 3JUIN e Ilaria Vanni, giornalista. Al termine dell’incontro abbiamo parlato con le sorelle Alessandri in merito alla loro scelta di scegliere come nuovo canale di comunicazione il metaverso

Iniziamo con Perla. Puoi raccontarci un po’ di come è nata la vostra avventura con 3JUIN? 

Io sono Perla Alessandri, CEO del brand Greymer e anche co-fondatrice assieme alle mie due sorelle del brand 3JUIN. Mi occupo di tutta la parte manageriale di tutta l'azienda in quanto sono la più grande delle tre. Insieme siamo partite a realizzare questo fantastico progetto. Abbiamo radici nel settore calzaturiero in quanto nostro padre nel 1980 fondò la sua prima azienda per cui abbiamo imparato a padroneggiare una realtà che è quella del settore femminile di calzature fin da piccole; muovendo i primi passi nell’azienda di famiglia che si trova in Romagna nel distretto di San Mauro Pascoli, uno dei principali distretti di calzature femminili. 

Il nostro brand ci accomuna per due cose innanzitutto: il 3 giugno 2020 è la data in cui abbiamo deciso insieme di iniziare a costruire questo progetto ma è anche il numero tre che rappresentano le tre sorelle, tre donne, tre personalità. Quindi una seconda generazione, però un percorso tutto nostro e quindi credo che già nella pancia della mamma il DNA sia stato un po trasmesso. Il nostro progetto parte da questa base e tratta di vari temi tra cui quello della sostenibilità perché in primis abbiamo pensato di creare anche una scarpa che possa rappresentare le caratteristiche del mondo di oggi.

Veniamo proprio alle protagoniste del vostro brand: le scarpe. 

In piena pandemia abbiamo deciso di intraprendere questo progetto con la necessità di creare un prodotto diverso dagli altri. Un prodotto che tenesse e fosse al passo coi tempi. Sono cambiate completamente le abitudini nel 2020, per cui si esce la mattina, si torna alla sera. La scarpa deve essere multifunzionale, una scarpa passepartout senza troppi fronzoli.

Venivamo da un momento di cambiamento globale e abbiamo deciso di mettere al centro il colore, in modo da avere una delle caratteristiche che ci rappresenta quindi una scarpa completamente pulita ma il colore in sostanza è il DNA del prodotto. Quindi l'idea principale è stata quella di andare ad affacciarsi al mercato con un prodotto tradizionale ma che si possa comunicare anche in modi diversi. 

Quali sono le sfide per il futuro di 3JUIN? 

Oggi come oggi prevalentemente tutti utilizzano influencer o diciamo i social media in una funzione di visibilità del prodotto. Noi volevamo comunicarlo in un modo diverso e il gol è proprio capire come fare a comunicarlo in questo modo diverso. Dall'incontro di più persone siamo riusciti a capire forse quella che è la sfida più grande e a comunicare la nostra filosofia in un modo probabilmente innovativo e nuovo.

Allora passiamo ad Antonia, la più giovane delle tre sorelle e addetta alla comunicazione e ai social. Come siete giunte al vostro concetto innovativo di comunicazione? E soprattutto perché.

Mi ricollego a quello che ha detto Perla, ovvero che 3JUIN è nata in un momento di pandemia globale quindi in un momento difficile. La strategia comunicativa si è dovuta adattare a questo nel senso che bisognava trovare qualcosa di diverso di innovativo per aiutare a far conoscere il brand in primis e anche a farlo crescere. 

Inizialmente abbiamo sfruttato le strategie di comunicazione tradizionali quindi una campagna adv piuttosto che un omaggio a delle influencer e a delle talent eccetera. Poi ci siamo chiesti ok, cosa possiamo fare di diverso e abbiamo deciso di puntare inizialmente su alcuni dispositivi innovativi come ad esempio gli ologrammi. 

Principalmente è stato installato un ologramma nel nostro showroom, che è quello a Milano di Massimo Bonini, con cui collaboriamo da molti anni. Ormai è nostro partner di fiducia e questo è stato fatto per aiutare sia a livello comunicativo il brand che ad attirare nuovi rivenditori, i nostri primi clienti. E poi, pensando un po' ad altre cose innovative e conoscendo poi Ilaria e Rossano, ci siamo appoggiati ad Advepa, per creare il primo metaverso di 3JUIN dedicato alle scarpe per donne, quindi una realtà immersiva tutta nuova. 

Come funziona lo showroom virtuale di 3JUIN?

È stato sicuramente tutto pensato e studiato. Noi siamo un'azienda moda, fashion, super giovane, quindi i colori, l'ambiente, un ambiente molto moderno. Le scarpe sono presentate ovviamente con un'immagine 3D che può ruotare per far vedere il prodotto scarpa nella sua interezza. È tutte molto simpatico e molto divertente, però è anche una condivisione tra quello che è reale e magari quello che oggi non sembra ma poi sicuramente lo sarà in futuro grazie.

Finiamo con Margherita, responsabile della parte produttiva e del controllo qualità. Quali sono i progetti in cantiere per promuovere 3JUIN e le sue scarpe?

I nostri progetti futuri, dal prossimo anno, sono quelli di andare a implementare il metaverso così da avere la possibilità di personalizzare e andare acquistare il prodotto in modo esclusivo e poi andremo a far comunicare il nostro avatar con l'utente . Puntiamo a creare anche anche una community del nostro brand. 

Oltre a questo andremo a lavorare sui valori del brand, ovvero l'ecosostenibilità. A oggi il nostro packaging è composto al 90% di carta riciclata. È un argomento comunque che ci tocca molto, soprattutto in questo momento. 

Mentre dal punto di vista distributivo andremo ad implementare i nostri retailer internazionali per includere i nostri clienti sul nostro metaverso, dando anche a loro la possibilità di avere un canale diverso di visibilità e di comunicazione.

Davide Moscardelli: "Mi piace pensare che sono stato il primo ex-giocatore ad entrare nel metaverso"

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DAVIDE MOSCARDELLI ILBARBAVERSO - Nato a Mons, in Belgio, da famiglia di origini romane, Davide Moscardelli è un ex calciatore, nel ruolo di centrocampista. In Italia ha militato anche in Serie A con Chievo e Bologna, guidato dal tecnico Stefano Pioli. Sia durante il periodo di attività che una volta ritiratosi dal calcio giocato ha dato vita a diverse attività imprenditoriali.

La prima ha riguardato una linea di abbigliamento e gadget con stampe relative alla sua iconica barba. Ultimamente si è invece lanciato nel metaverso con il suo format ‘ilBarbaverso’. Lo abbiamo intervistato per sapere come sono nate queste iniziative. 

Intervista a Davide Moscardelli, che ha portato il calcio nel metaverso con ilBarbaverso

Non solo calciatore e avatar nel Metaverso, nel corso della tua carriera hai dato vita anche a un marchio di vestiti e oggettistica. Come è nata questa idea?

In realtà è nata per gioco. Navigando tra i social, nel 2013 erano molto meno visitati di adesso, ho visto una maglietta con il mio viso e una frase sulla barba fatta dai miei tifosi. Mia moglie per scherzo ha iniziato a farne alcune con l’aiuto di amici. Diciamo che non c’era proprio l’intenzione di creare un marchio, fu fatto più per gioco.

C’è la possibilità di vedere una nuova collezione della linea Flybeard?

Non credo. Ormai la barba non è più una novità. E’ stato bello perché il momento era giusto, sicuramente essendo gestita a livello amatoriale è stata una fantastica esperienza ma non siamo fatti per fare gli imprenditori!  

Da calciatore, a avatar opinionista di calcio nel metaverso? Come sei giunto a ilBarbaverso?

È stato un vero caso, un amico mi ha messo in contatto con Rossano Tiezzi e da lì, dopo un paio di incontri, è nata la collaborazione. Indubbiamente c’è stata subito sintonia. In passato ho sempre detto che una volta smesso avrei voluto fare il commentatore tecnico e sicuramente non è facile entrare in questo ambiente. 

Con ilBarbaverso ho una trasmissione tutta mia, mi hanno dato carta bianca ..forse un po’ troppo! Ma grazie all’aiuto di tutti i collaboratori di questo progetto sta prendendo forma questa trasmissione che non va dimenticato si può vedere in un mondo tutto nuovo, mi piace pensare che comunque vada questa esperienza sono stato il primo ex-giocatore ad entrare nel metaverso.

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Chiara Fiorenzo riscrive le regole del settore immobiliare con le sue Geografie Immobiliari

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CHIARA FIORENZO REAL ESTATE AGENT - Chi è Chiara Fiorenzo? Chiara è un’abile real estate agent, professionista del settore immobiliare, un interlocutore operativo con una struttura snella. Ha un metodo per vendere ed acquistare appreso da preparazione intensa e continuativa che le permette di cogliere le opportunità dei cambiamenti nel mondo immobiliare come Real Estate Agent. 

Entusiasmo, costanza, fluidità, trasversalità e una buona dose di tenacia. Sono questi gli elementi che dichiara essenziali nella sua carriera. Chiara si racconta in un’intervista che mette in luce la sua voglia di trasmettere le esperienze che l’hanno arricchita sul piano culturale e professionale.

Da dove è nato il tuo interesse per l’immobiliare?

È un mondo che ha sempre attirato la mia attenzione, stimolato interesse, ma poi è nato un po’ per caso. Ha incrociato il mio cammino più di una volta durante il mio percorso formativo, anche se ho fatto tutt’altro. Poi in casa, si è sempre respirato un po’ di aria di atti di compravendita, ma in particolare, tutto è nato durante la mia permanenza a Roma per diversi anni, dove un amico imprenditore nel settore immobiliare e che stimo molto, mi ha “dato il la" per pensarci seriamente.

E quindi rientrata a Milano ho deciso di intraprendere questa strada, nel settore immobiliare, partendo dall’inizio, consapevole che la prima tappa fosse raggiungere un buon livello di formazione, che con duro lavoro ho “subito” raggiunto con il riconoscimento della professione a “Milano”, la piazza più ambita dai professionisti del mondo immobiliare.

Da qui è partita la mia nuova esperienza…. che abbraccio come tutte le altre nella mia vita con curiosità, preparazione, condivisione, “tutti” ingredienti indispensabili per agire con passione e determinazione! Ecco il mio entusiasmo!

Quale è stato il tuo percorso da agente immobiliare?

Come già accennato prima è un percorso che inizia con una intensa formazione che ancora oggi ha una presenza continua ed importante nella mia professione. Opero mettendo a disposizione dei miei Clienti l'esperienza lavorativa di più settori, la conoscenza e gli strumenti più appropriati per raggiungere il miglior risultato possibile per il Cliente - cliente con la C maiuscola perché per me vengono prima di tutto anche delle case.

Ho conosciuto realtà storiche e consolidate nel mondo immobiliare, potendo così avere una visione più aperta verso i diversi approcci di questo mercato in base anche ai target ai quali ci si rivolge. Credo nella collaborazione, che possa essere non solo un punto di incontro ma anche un punto di partenza per nuovi scenari. Da qui la mia voglia e volontà di avere e coltivare rapporti di “buon vicinato” con i colleghi professionisti. L’importanza di un buon network per questa professione, come per tutte, è fondamentale.

Inoltre… ho iniziato il mio percorso associandomi da subito a Fiaip (principale associazione di categoria del settore riconosciuta dalla Comunità Europea), con la quale continuo a camminare e a farne parte con orgoglio e soddisfazione.

Le tue esperienze lavorative passate come ti hanno aiutato ad intraprendere questa carriera?

Molto direi! Ho svolto varie attività. Nasco imprenditrice con tracce già nel mio DNA e, con il tempo sviluppo il marketing, con valorizzazione delle competenze in più ambiti.

Socialità, incontri, curiosità mi hanno portato a conoscere mondi e persone diverse… la Fluidità è diventata il mio “Mantra”, essere Fluidi è una scelta per essere presente nei luoghi e nei posti che mi vengono richiesti.

Poi uno strumento in più nato dall’esperienza di tanti incontri, tanto ascolto e tanto lavoro… la trasversalità, alimenta la mia Fluidità.

Se ci sono state, quali sono delle difficoltà che hai riscontrato nel tuo percorso come agente?

Si! Ci sono state, come credo ci siano un po’ in ogni lavoro. L'agente immobiliare é una figura che negli anni è stata screditata. Ma la formazione e le competenze messe a disposizione del Cliente e/o dei collaboratori, l’ attenzione e il mio entusiasmo, il riconoscimento del lavoro svolto con passione, hanno messo in risalto i miei valori e eliminato ogni difficoltà.

Cosa ti differenzia dalle agenzie immobiliari?

Rispondo così, “parola ormai inflazionata” ma rende l’idea! Essere fluidi è una scelta per essere presente con la mia professione nei luoghi e nei posti che mi vengono richiesti. So cogliere le opportunità dei cambiamenti nel mondo immobiliare. Per questo sono attiva a Milano dove ho sede, a Roma ed in varie regioni italiane. 

Una rete di “Collaboratori Professionisti” selezionati nel tempo e con i quali “ci si sceglie”, mi permette di avere un’approfondita conoscenza delle singole realtà d’interesse anche all’estero, attraverso collaboratori “attivi in loco”.

Le mie Geografie Immobiliari nascono da selezionare località geografiche, capaci di offrire interesse del contesto, alto livello qualitativo, profittabilità dell’investimento. La mia visione di collaborazione nasce dall’esigenza e dalla necessità di dover e poter rispondere nel miglior modo a Clienti sempre più esigenti e in un mercato immobiliare che sta cambiando velocemente.

E la tua strategia di vendita?

Non ho strategie di vendita! … Ho capacità di ascolto, cerco sempre di entrare in empatia con il Cliente, so vedere le opportunità dei cambiamenti nel mondo immobiliare e quali risposte possano suggerirmi per soddisfare le loro esigenze. Si fidano e … si affidano, perché da me cercano risposte.

Io ed il mio Cliente siamo sempre una squadra!

Cosa ti differenzia dalla concorrenza?

Vedo sempre la concorrenza come possibilità di confronto, collaborazione e crescita professionale. La concorrenza diventa… “opportunità”!

Come hai scelto di legarti a FIAIP?

Inizio a conoscere Fiaip (Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali) ancor prima di diventare agente immobiliare e…. non vedo l’ora di farne parte! Condivido sin da subito i valori, ne abbraccio la deontologia, fino ad arrivare a voler far parte di questa bella realtà.

Devo, all’oggi Vice Presidente Vicario Nazionale Marco Grumetti e, Vice Presidente Lombardia in carica in quel periodo, la passione ed i valori a me trasmessi, l’aver stimolato interesse e curiosità per entrare a far parte della Federazione e credere profondamente nella preparazione e competenze.

Importante, nel percorrere questa strada, l’appartenenza ad un “gruppo” che ogni giorno lavora per mantenere alta la tua professionalità, supportarti e … Perché no? alcune volte…. sopportarti!!

La conferma della mia giusta scelta è sapere che Fiaip si mette in gioco per tutti gli agenti immobiliari associati e non. E’ amore per la categoria!

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

Eccomi…! 

Obiettivi per il futuro…sicuramente riuscire a mantenere viva la passione, la curiosità per un mercato che sta cambiando velocemente, in continua trasformazione, continuando ad investire sulla formazione.

Dedicando tempo alla contaminazione tra professionisti e quindi, fiduciosa nell’accrescimento di opportunità attraverso nuove sinergie e nuovi strumenti di lavoro. È così che… si entra nel futuro! ….. Ma forse nel futuro sono già un po’ entrata….?! nella porta del “Metaverso”!

Si! Nella settimana del Fuorisalone 6-12 Giugno 2022, alla Hoepli Libreria di Milano, ho avuto il piacere e l’onore di essere stata invitata all’incontro di “Interprofessionalità e Metaverso”, organizzato da Arch.Ruffo Wolf - Sinergie, a fare un breve intervento su “Come il mondo immobiliare guarda al Metaverso”. Sono tre i punti importanti che ho voluto esporre:

  1. Perché acquistare una proprietà immobiliare nel Metaverso?
  2. Come si valuta e come acquista valore una proprietà immobiliare nel Metaverso?
  3. Come può coesistere una proprietà immobiliare nel Reale e nel Virtuale? E…piacevolmente stupita dal vivo interesse riscontrato e dalle opportunità di nuovi scenari, ringrazio per lo straordinario invito!