Google Stadia, chiude dopo due anni: la reazione dei sviluppatori

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CHIUDE GOOGLE STADIA - Nel marzo del 2019 Google annunciò il rilascio di Stadia, una tra le prime piattaforme a permettere il il cloud gaming, ovvero di giocare senza l’utilizzo di una console, ma appoggiandosi esclusivamente alle piattaforme di Google. Il successo di Stadia sembrava assicurato, invece a distanza di due anni è arrivata la notizia della chiusura. 

L’annuncio della chiusura di Google Stadia 

Dal 18 gennaio 2023 Stadia chiuderà i server. La notizia è arrivata un po’ improvvisamente ma non ha di certo sorpreso. Infatti già da tempo, quasi da subito si potrebbe dire, il logo di Stadia non compariva nei trailer dei giochi compatibili e anche le testate giornalistiche si sarebbero dimenticate di citare Stadia negli articoli sulle nuove uscite tra piattaforme supportate. 

La chiusura della piattaforma Google ricade principalmente sui giocatori che rischiano di perdere ore e ore di gioco e di progressi, che gli utenti abbonati potranno continuare a salvare fino al giorno di chiusura. Google ha previsto il rimborso del costo dell’abbonamento, ma non sembra aver preso in considerazione il rimborso del tempo e dei progressi che i giocatori hanno speso su Stadia. Inoltre è alto il rischio che alcune della ‘rare’ escluse di Stadia rischiano di diventare ingiocabili da gennaio, a meno di non trovare presto una nuova piattaforma dove trasferirsi. 

Le cause della chiusura

Identificare le cause esatte che hanno portato al flop di Stadia è complicato. Le cause sembrano essere molteplici e dipendere da numerose concause. Il costo della piattaforma non sembra costituire un vero ostacolo, perché i 9,99 euro al mese per l’abbonamento Pro, paragonati ai 12,99 di Xbox Game Cloud sono oggettivamente più economici. Il problema sta nell’offerta fornita a fronte della spesa. 

L’offerta Xbox mette a disposizione degli abbonati accesso illimitato a un catalogo di oltre una 100 giochi. La library offerta da Stadia è nettamente inferiore anche per gli abbonati Pro, mentre a chi utilizza la piattaforma con accesso gratuito obbliga l’acquisto dei singoli giochi. 

Stadia, pur avendo un prezzo contenuto di 9,99 euro al mese nel suo abbonamento Pro, offre pochi giochi inclusi al mese, oltre ad obbligare i suoi giocatori all’acquisto dei singoli giochi nel caso in cui si sfruttasse l’abbonamento gratuito

La reazione di sviluppatori e produttori

Il flop di Stadia era annunciato, ma l'annuncio di Google sulla chiusura di Stadia ha sorpreso gli stessi sviluppatori dei giochi. Lo si intuisce chiaramente dalle parole di Rebecca Heineman, designer e programmatrice statunitense, rilasciate a GLHF.

“Nessuno, nemmeno i dipendenti di Stadia lo sapevano. Lo hanno scoperto quando è andato online il post sul blog”. 

La Heineman, che al momento dell’annuncio stava lavorando insieme allo sviluppatore Olde Sküül, ad un port moderno di Luxor Evolved, continua:  “circa quattro mesi di lavoro” sono stati ora mandati in fumo, il che “per un minuscolo sviluppatore come Olde Sküül, è un sacco”.

Per fortuna non tutto è andato perduto perché come ha affermato sempre la Heineman su Twitter: “Se non altro, Google ci ha contattato e sta lavorando per attutire il colpo dovuto al fatto che il nostro titolo per Stadia sia stato cancellato. Almeno sarà su altre piattaforme (Nintendo Switch, Xbox e PlayStation, ndr.)”. 

Dopo i programmatori si sono fatti sentire anche i produttori. Tra i primi Ubisoft, che ha annunciato di consentire agli utenti possessori di giochi Google Stadia di trasferirli su PC grazie alla piattaforma Ubisoft Connect.

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Google Analytics 4 è la nuova generazione di proprietà: miglioramenti sulla privacy e pubblicità per le aziende

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GOOGLE ANALYTICS 4 - L’evoluzione di Google Analytics faciliterà molti compiti alle aziende. Inserito in fase beta durante il 2021, la nuova versione ufficiale di Google Analytics dà accesso a molteplici funzioni, quali studio dei futuri trend aziendali, misurazione delle interazioni tra web e app, conversioni delle views su YouTube, accesso semplificato ad una ROI migliore, per un marketing categorizzato e campionamenti di Google Ads migliorati, in modo da personalizzare ancora più facilmente i segmenti di pubblico o dei possibili clienti.

Che cos’è Google Analytics

Google Analytics è un servizio totalmente gratuito messo a disposizione da Google e ha lo scopo di monitorare i propri siti web. Tutte le statistiche e i dati relativi agli accessi degli utenti, organizzati in semplici sezioni, sono suddivisi in grafici e tabelle per essere comprensibili e letti facilmente. Un servizio utilissimo per tutti quelli che vogliono capire “i numeri” che fa la propria attività, il proprio online marketing. Suddiviso su due colonne, il menù di sinistra, quello principale, ci propone 3 aree: pubblico, acquisizione e comportamento. Sulla destra possiamo visualizzare i risultati di ognuna delle aree scelte dal menù principale, dai grafici a torta alle sequenze temporali.. Analytics ci permette di impostare l’intervallo di tempo da esaminare, di metterlo a confronto con un altro periodo (o mese, o settimana). Questo servizio di Google è la migliore risorsa strategica per gli strumenti di marketing di una impresa e permette varie funzioni:

Differenze tra Universal Analytics e GA4

I cambiamenti apportati nella nuova versione di GA sono molteplici: tempi di caricamento praticamente inesistenti, bounce frequence modificata, sessioni con start differente e molto altro. Nel nuovo Analytics si presenta una interfaccia semplificata, formata solo da Account e Proprietà (il vecchio aveva Account->Proprietà->Vista). La semplificazione dell’interfaccia è dovuta al fatto che molti utenti, ultimamente, utilizzano GA più da mobile che da pc. Andiamo a vedere di seguito le principali evoluzioni di uno dei migliori servizi online per le aziende e privati:

StrumentiUniversal Analytics (o GA3)Google Analytics 4



Sessioni
Views, events e transazioni si chiudono per default dopo 30 minuti di inattività o reimpostazione automaticaSession_start default fa partire le sezioni in automatico e ogni evento è collegato ad una sessione.è possibile modificare il timeout di ogni sessioneLa gerarchia rimane sempre Utente->Sessione->Evento



Bounce Rate
Numero di pagine aperte/chiuse da un utente, all’interno del sitoViene chiamata Engaged Session e permette un’analisi più approfondita:Può essere per user e per rateUn utente non attivo non viene conteggiato
Calcolo utenti attiviPrevio avvio di un evento interattivoAutomatico




Conteggio sessioni
Una nuova campagna avvia una nuova sessione. Le hit vengono elaborate solo entro 4 ore dalla fine sessione del giorno precedenteGli eventi vengono elaborati fino a 72 ore dopo. La sezione inizia quando un utente o apre l’app in primo piano o quando visualizza una pagina non attiva. Il timeout di default è 30 minuti ma non c’è un limite di tempo per una sezione.



Conteggio utenti
Client Id per determinare l’identità degli utentiConteggia gli utenti totaliLo stream dei dati è un'opzione dei filtriCi sono filtri di esclusione datiUser Id (parametro riservato ma esponibile) per determinare l’identità degli utenti, tramite settaggio CRM Id,  Mail ID ecc.ed è collegato a tutti i rapporti.Conteggia solo gli utenti attivi, coinvoltiStream di qualsiasi dato per defaultNon supporta ancora filtri di esclusione datiCross platform e cross device 




Goals
Permette un massimo di 20 goalsSi basano su Durata, Destinazione, EventiSI chiamano ConversionsSe ne possono attivare fino a 30 contemporaneamenteSi basa solo sugli eventi (le impostazioni aiutano il rilevamento)



Enhanced Measurement
Gli eventi vengono rilevati automaticamente come “first_visit” e “session_start”: quando si abilita l’enhanced measurement vengono raccolti più eventi tra “view_search_results”, "video start", "file_download" e altri.

Tutto più semplice, tutto più sicuro

I miglioramenti di GA4 sono abbastanza notevoli e fanno parte dell’evoluzione dell’internet per le aziende, considerate le miriadi di funzioni nuove. Analisi, per esempio, inizialmente formata dalla dashboard e dal salvataggio e customizzazione dei rapporti, oggi presenta molte più features: Exploration, Funnel Analysis, Path Analysis, User Explorer e molti altri.

Per maggiori informazioni basta leggere l’articolo completo, disponibile qui, Panoramica di GA4 e differenze con Analytics.

Photoshop e Illustrator: tutti gli usi e funzioni. Carlotta Casini di Advepa ci dice la sua

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CARLOTTA CASINI ADVEPA - I software del pacchetto Adobe vengono utilizzati per la progettazione e distribuzione delle esperienze digitali moderne. Vengono utilizzati da molti studi grafici, soprattutto in questo periodo particolare, col metaverso che sta prendendo piede giorno dopo giorno, e sono tra i prodotti professionali più conosciuti al mondo. Utilizzare alla perfezione tutti i software del pacchetto Adobe non è affatto semplice: esistono corsi specifici che rilasciano attestati sul software che si vuole studiare. Abbiamo fatto qualche domanda a Carlotta Casini, video editor, audio&video developer e project designer dell’azienda digitale Advepa Communication, riguardo gli usi generici e quelli all’interno del proprio ambito lavorativo, dei due software più utilizzati del pacchetto Adobe: Photoshop e Illustrator.

Photoshop: a cosa serve

Photoshop è un software dedicato interamente alla lavorazioni di immagini “raster”, quindi basate sui pixel. Può essere utilizzato per il fotoritocco, sulla saturazione, ombre e luci, sfondi, per creare mockup applicabili nella realtà, per realizzare banner ed immagini per i post sui social, così come le interfacce grafiche dei siti web. Non può essere utilizzato per la creazione di un logo, per esempio, di un materiale che viene stampato o di qualsiasi cosa abbia bisogno di lavorazione vettoriale della grafica.

Illustrator: a cosa serve

Illustrator è un altro software, basilare nella lavorazione di grafiche vettoriali, cioè quelle grafiche che possono essere scalabili di dimensione, senza avere perdita di qualità e definizione. Viene utilizzato per la creazione di loghi ed icone, come i biglietti da visita, così come la creazione di personaggi o paesaggi, oppure per la creazione di packaging. Non può essere utilizzato nell’impaginazione di brochure o nel fotoritocco.

Carlotta Casini ci dice la sua

Abbiamo posto qualche domanda a Carlotta Casini, video editor, audio&video developer e project designer dell’azienda digitale Advepa Communication, azienda che si occupa da molti anni nella creazione di soluzione innovative, nella lavorazione degli ambienti virtuali e metaverso.

Per cosa e per quali lavori ti servono Photoshop o Illustrator nella tua azienda?

“Uso Photoshop per la creazione di immagini digitali che vengono utilizzate sia come story/post per i nostri social e dei nostri clienti, sia da inserire nei vari siti, ma anche per il fotoritocco e la correzione fotografica.

Uso invece Illustrator per la creazione di immagini digitali o per quelle dedicate alla stampa, come biglietti da visita, totem, brochure.”

Quale dei due software preferisci di più?

“Personalmente preferisco Photoshop perchè mi sento più libera dal punto di vista creativo, e anche dal punto di vista del fotoritocco, che è l’elemento principale nei lavori che svolgo. Con Illustrator non è possibile in quanto programma vettoriale.”.

Per maggiori informazioni riguardo l’utilizzo specifico dei due software Adobe, basta leggere l’articolo completo, cliccando sul link seguente, PHOTOSHOP, ILLUSTRATOR e INDESIGN: a cosa servono?.

L’innovazione di Meta, un nuovo tipo di Avatar. Giulia Sperandeo, Lead Developer di Advepa Communication ci dice la sua

Tempo di lettura: 2 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]Meta Avatars è la novità introdotta da Meta, la nuova azienda di Facebook proiettata verso il Metaverso. Anticipati come Oculus Avatars 2.0 ad inizio 2021, il nuovo progetto di Meta rivoluzionerà e semplificherà il lavoro di molti sviluppatori. Abbiamo avuto il piacere di ascoltare il parere di Giulia Sperandeo, Lead Developer di Advepa Communication, azienda digitale che si occupa di soluzioni innovative per tutto ciò che riguarda online marketing, Virtual & Augmented Reality e progetti 3D realizzati in realtà immersiva. Andiamo a scoprire cosa ci riserva il Metaverso con una delle prime creazioni dedicategli: Meta Avatars per Facebook Horizon.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

"This is not the way we are meant to use technology."

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Partiamo dalle parole di Zuckerberg, rilasciate qualche mese fa riguardo il concetto di Metaverso, sulla tecnologia e su come le persone possano stare “vicine”. La società Meta afferma di aver creato l’sdk Meta Avatar “con le esigenze degli sviluppatori in mente”. I developers potranno non assecondare il posizionamento dei corpi degli avatar, così come le espressioni facciali, in modo da mettere a punto il comportamento dell’avatar per la propria applicazione. L’sdk rilasciato per tutti i developers di Unity utilizza un’interessante architettura: ogni cuffia elabora dei calcoli specifici per il proprio avatar, all’interno di una scena, trasmettendo le informazioni elaborate ai partecipanti. Altra informazione notevole riguarda lo stack di rete, utilizzabile liberamente dagli sviluppatori: ciò permette una flessibilità maggiore rispetto ad una soluzione proprietaria. Grazie ai primi commenti sull’utilizzo di Meta Avatar possiamo intuire come questo nuovo sdk sia fedele all’idea iniziale del CEO di Facebook: una tecnologia più vicina alle persone, più “partecipativa” e adatta al Metaverso, dove tutti possono fruirne. [/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

L’opinione di Giulia

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Il nuovo Meta Avatar sarà l’innovazione per gli sviluppatori che lavorano con Unity e - si pensa entro la fine del 2022 - in seguito anche per quelli che lavorano su Unreal Engine 5. Advepa Communication sarà tra le prime aziende digitali ad utilizzare i Meta Avatars all’interno dei loro prossimi progetti. Giulia Sperandeo, Lead Developer dell’azienda digitale, ci ha dato una sua opinione su questi innovativi sdk:[/vc_column_text][vc_column_text]

grazie agli sdk messi a disposizione da Meta, per tutti gli sviluppatori amanti di Oculus Quest 2, customizzare e riggare gli avatar non è stato mai così semplice.

[/vc_column_text][vc_column_text]L’effettiva customizzazione e semplicità di Meta Avatar permetterà agli sviluppatori di utilizzare lo stesso avatar all’interno delle molte applicazioni disponibili per Oculus Quest 2. Advepa Communication, già realizzatrice di virtual fair come Golosaria, Faq400, Exco, Swiss Virtual Expo, utilizzerà questo innovativo plugin all’interno dei propri progetti futuri.

Maggiori informazioni riguardo l’innovativo plugin dell’azienda Meta e le caratteristiche tecniche, potete leggerle all’interno del link seguente, Meta’s Latest Avatar System is Finally Rolling Out to All Unity Developers.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][/vc_column][/vc_row]

Il metaverso è già in mezzo a noi? Un po’ di chiarezza

Tempo di lettura: 3 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]METAVERSO - Siamo vicini alla perfetta miscela tra digitale e reale, ma soprattutto siamo dentro un calderone di frasi diverse che cercano di spiegare la stessa cosa. Questa è l’attuale situazione riguardo al metaverso, il magnifico mondo proposto e promosso da Mark Zuckerberg, l’uomo al vertice dei social media. Oltre al video sul web che raffigura lui in luoghi anche troppo all’avanguardia, troviamo moltissime pagine che cercano di dire la propria sul metaverso. Cerchiamo di capire cos’è questo mondo. [/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

Un nuovo mondo in versione virtuale

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Definire il metaverso è davvero complicato perché il rischio di tralasciare dettagli fondamentali è dietro l’angolo. Dopo tutto questo gran parlare, ora che si sono calmate le acque, vogliamo dare un senso a tutto ciò che è stato detto?

Il metaverso è un intero mondo in formato virtuale in cui possiamo compiere una quantità illimitata di attività diverse attraverso il proprio avatar. Questo avatar è il nostro alter ego digitale, che un giorno governeremo con facilità con occhiali VR e altri mezzi tecnologici avanzatissimi. Ogni giorno la tecnologia si avvicinerà a riprodurre le sensazioni reali anche quando ci troveremo in un universo virtuale. Il tutto mentre siamo connessi al resto del mondo grazie a internet.

Le possibilità per il metaverso sono davvero infinite: un giorno saremo facilmente in grado di andare in ufficio solo indossando un Hoculus. Potrebbe essere un ufficio virtuale 3D oppure il nostro ologramma che si sposta nella sede fisica.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

La situazione attuale: tanto fumo e poco metaverso

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]In effetti i primi passi per il metaverso sono già stati compiuti. Abbiamo i primi visori in VR, esistono casi di AR, anche la moneta ormai ha le sue versioni digitali consolidate. Per non parlare dei videogiochi, il settore più all’avanguardia per molti ambiti tecnologici, che portano esperienze iperrealistiche già da tempo.

Tuttavia, dobbiamo mettere un “ma” davvero grande sull’argomento metaverso.

Il metaverso è già in mezzo a noi?

Parliamoci chiaro, tutti abbiamo visto il video di Mark Zuckerberg in cui fluttua dentro un’astronave in compagnia di due astronauti, un robot senziente e un ologramma. Non sembra qualcosa di fattibile, ma è anche ciò a cui ha accennato lui stesso: si trattava di una visione sul futuro del metaverso. 

Certo è che il metaverso, per come ce lo stanno presentando, è un universo di progressi che ha ancora bisogno di tempo. Tempo per essere messo in atto nella sua forma più innovativa e visionaria in cui lo immaginiamo adesso. Quindi, ora, con cosa possiamo avere a che fare?[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

La situazione attuale: tanto fumo e poco metaverso

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]In questo momento, il metaverso è ancora lontano dalla sua forma più avanzata in cui ci immergeremo completamente in un mondo virtuale. Tuttavia, più passa il tempo e più elementi nascono che serviranno a comporre quel mondo incredibile.

Basti pensare che moltissime cose hanno la loro versione digitale, versioni che comporranno l’ossatura del metaverso. Per esempio, le criptovalute sono un sistema consolidato; abbiamo anche la blockchain, un sistema digitale per la registrazione e tracciabilità dei pagamenti. La realtà immersiva sta affermandosi nel business grazie a fiere ed expo virtuali di ogni genere. Per esempio, sta per arrivare Vinophila: l’expo virtuale 3D per vino e bevande alcoliche, ovvero un mondo digitale in cui possiamo interfacciarci con altre aziende. Proprio come nel mondo fisico, ma a portata di clic.

Certo è che il metaverso, per come ce lo stanno presentando, è un universo di progressi che ha ancora bisogno di tempo. Tempo per essere messo in atto nella sua forma più innovativa e visionaria in cui lo immaginiamo adesso. Quindi, ora, con cosa possiamo avere a che fare?[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Hbb TV: come ti viola la privacy

Tempo di lettura: 2 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]HBB TV VIOLA PRIVACY - In questi giorni si discute molto del prossimo aggiornamento dei TV italiani, ma se ancora esistono problemi di fondo, perché andare avanti così in fretta?

Le normative sulla privacy sono chiare per gli addetti ai lavori, invece una ricerca ha dimostrato che ci sono dei problemi di fondo. Per farla breve, su alcuni canali prendono i tuoi dati ancora prima che tu possa rispondere. Grazie alla ricerca svolta da Sababa Security, andiamo a scoprire cosa succede nel piccolo schermo.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

La ricerca sulla privacy degli spettatori

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]I TV di cui vi stiamo parlando sono quelli che possiedono la tecnologia Hybrid broadcast broadband TV, ovvero Hbb TV. Grazie a questa componente, le televisioni offrono dei servizi più interattivi, come quello di far tornare indietro una trasmissione in diretta.

La ricerca si è basata sul rapporto tra la richiesta di accettazione dei trattamenti di dati personali e l’effettiva raccolta dei dati. La società Sababa Security ha condotto la prova su sedici canali, uno per ogni gruppo, di cui nove nazionali e sette esteri.

Cosa hanno scoperto con questa ricerca? Che le falle nelle procedure di richiesta sono moltissime e di svariati tipi. Almeno la maggior parte dei canali porta con sé tracciamenti indesiderati e/o non rende possibile negare il consenso ai cosiddetti pixel di tracciamento.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

I risultati delle Hbb TV: una falla dopo l’altra

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]L’aspetto su cui riflettere grazie a questa ricerca è la considerazione che si ha della privacy individuale, ma soprattutto della scarsa competenza a riguardo. Scarsa competenza perché le falle nelle procedure riguardano le migliori reti nazionali e non, come il gruppo Mediaset o Rai.

Prima ancora che un utente accetti l’informativa sul trattamento dei dati, la maggior parte dei canali analizzati tramite Hbb TV ha già avviato il tracciamento. Molti usano i cosiddetti pixel di tracciamento, cioè dei pixel che aiutano le emittenti a capire il comportamento degli utenti: è quasi impossibile toglierli.

Naturalmente non possiamo fare di tutta l’erba un fascio: esistono canali con una buona procedura per la privacy e altri problematici. Tuttavia, sapere che alcuni dei maggiori enti non mettono a disposizione nemmeno l’informativa è alquanto preoccupante per la nostra privacy.

Per saperne di più clicca qui.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Chi trova un amico trova una truffa su Whatsapp

Tempo di lettura: 2 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]CRISTINA GIOTTO WHATSAPP - Di truffe se ne vedono di ogni tipo, siamo forse abituati a vedere dei truffatori rinnovarsi continuamente. Dai furbi del porta a porta ai più tecnologici creatori di concorsi online fasulli: stavolta le truffe passano  di nuovo dal digitale. Inoltre, se prima i criminali avevano bisogno di tutti i nostri dati bancari, adesso gli basta un codice a sei cifre. Scopriamo insieme a Cristina Giotto Boggia, direttore di Ated ICT Ticino, come funzionano le truffe su Whatsapp.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

Cristina Giotto: non inviate i vostri codici su Whatsapp

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Grazie a Cristina Giotto potremo capire in cosa consistono le truffe sulla famosissima app di messaggistica Whatsapp. Il punto cruciale consiste nell’inviare un codice a sei cifre importantissimo: è il codice univoco per il trasferimento del vostro account. Potreste trovare dei - presunti - vostri amici che vi scrivono chiedendovi “Ti ho inviato un codice per sbaglio, potresti rimandarmelo?”: in tal caso, non rispondete.

Quell’amico, in realtà, altro non è che una vittima della stessa truffa. Infatti, chi manda il codice univoco permetterà al destinatario di completare la procedura di trasferimento di account da uno smartphone all’altro. In altre parole, l’hacker ha già rubato l’identità del vostro ipotetico amico e la sfrutta per ottenere anche la vostra.

“Siamo dinanzi al tentativo di un furto dell’identità, con una procedura iniziata da un hacker che, utilizzando il nostro numero di cellulare, vuole impossessarsi del nostro account. E per completare l’iter, ha bisogno del codice che solo noi possiamo inviare.” Questa la descrizione di Cristina Giotto che segnala l’esistenza di una truffa tanto semplice da non sembrare tale.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

Non rispondete, altrimenti scatta la truffa

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]E cosa potrebbe succedere se finissimo per inviare il codice a sei cifre di Whatsapp? Come risponde dettagliatamente Cristina Giotto: “Purtroppo, il codice inviato consente ai cybercriminali di completare la procedura, di impadronirsi dell’account WhatsApp e della rubrica telefonica, e di sfruttare questi dati per compiere ulteriori frodi utilizzando il vostro numero di telefono, ai danni dei vostri contatti.”

Dato che ottengono un account Whatsapp altrui, i cybercriminali potranno inoltre accedere ai messaggi salvati su backup. Di conseguenza, se la vittima ha mai inviato dei dati sensibili, verrebbero presi anche questi: importantissimo, perciò, imparare a riconoscere questa truffa e non rispondere.

Come ci suggerisce caldamente Cristina Giotto, la prima cosa da fare è non rispondere a chi richiede il codice univoco a sei cifre. Se invece avessimo innocentemente ceduto, non esitate a bloccare il vostro account Whatsapp a questo link.

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Il robot cestista di Tokyo 2020

Tempo di lettura: 2 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]ROBOT CESTISTA TOKYO 2020 - Chi gioca a pallacanestro lo sa: infilare la palla a sei spicchi è ogni volta una sfida. Si tratta di incastrare decine di condizioni in un solo tiro, e la pratica non basta mai. Adesso la tecnologia ha messo alla prova i suoi progressi sul parquet, mettendo in campo l’eterna battaglia tra cervello e (non solo) muscoli. Grazie a Giulio Falchi, esperto UI, cerchiamo di capire il fascino dei robot e dei Mecha in Giappone.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div"]

CUE la mette pure da centrocampo a Tokyo 2020

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Si chiama CUE ed è il progetto firmato da Toyota avviato nel 2018. Sul campo da basket di Tokyo 2020 ha fatto scalpore per i suoi tiri incredibili da varie angolazioni e distanze, perfino da centrocampo. Un portento dei 3 punti che sfoggia la sua coordinazione complicata anche per gli esseri umani.

“È proprio questa la caratteristica incredibile: questo robot ha una coordinazione fin troppo perfetta. Dai piedi ai minuscoli movimenti delle mani, CUE è ancora più vicino al comportamento umano.” Questo il pensiero di Giulio Falchi.

Infatti il robot cestista ostenta una gestualità invidiabile, ma non è solo questo il suo punto forte. Un’altra caratteristica è la sua - quasi - infallibilità: è il robot con il record mondiale di canestri consecutivi, 2020 in meno di 6 ore.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div"]

La tradizione giapponese dei mecha

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Vedere un robot comportarsi come - e meglio - di un essere umano è strabiliante per chiunque. Tuttavia, può darsi che per il popolo giapponese lo sia un po’ meno: per loro, quella dei robot umanoidi è ormai una tradizione ben radicata.

“Si tratta del mondo dei cosiddetti ‘mecha’ ", Prosegue Giulio Falchi, “Un argomento che, in Giappone, esiste da quando si ha a che fare con manga e anime. Sicuramente il desiderio di concretizzare una fantasia comune a tutti sta stimolando le maggiori compagnie nipponiche.”

Perciò il robot cestista presentato a Tokyo 2020 ha stupito tutti per i risultati che ha dato, ma non per la sua comparsa. CUE fa parte di un percorso calcato da tempo, ormai parliamo di decadi, in cui tutti ambiscono a vedere umanoidi meccanici passeggiare insieme alle persone.

Per saperne di più clicca qui.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Il doppio taglio del deepfake

Tempo di lettura: 2 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]DEEPFAKE - Non è una sorpresa, la tecnologia porta con sé pregi e difetti. Spesso troviamo in essa un immenso appoggio per i nostri progetti, altrettanto spesso è usata da truffatori, hacker e altri malintenzionati. Ma nessuno si aspettava questo doppio risvolto dal deepfake. Se finora era usato sia come strumento bizzarro, a dir poco comico, e anche per rubare e screditare l’identità altrui, adesso ne deriva una professione di tutto rispetto. Ma allora come dovremmo vederlo? Giulio Falchi ci aiuta a capirlo.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div"]

La tremenda facilità del deepfake

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Facciamo il punto: il deepfake è un algoritmo che rende possibile inserire l’immagine di un volto su un altro soggetto all’interno di foto e video. Così facendo, per esempio, il volto di una persona si troverà sul corpo di un’altra. E in pochi se ne renderebbero conto, perché il risultato è accuratissimo.

“Così bastano una decina/ventina di foto perché chiunque possa prendere la tua persona e fargli fare ciò che vuole. E la nostra immagine, che fine farebbe?” Giulio Falchi, UI per JWR.

Ecco il nodo più complicato per questa tecnologia. Il deepfake unisce una certa facilità d’uso all’ancor più grande facilità di screditare potenzialmente chiunque. Alcuni anni fa fecero scalpore due video elaborati ad hoc raffiguranti Il presidente del Regno Unito Boris Johnson e l’ex presidente americano Donald Trump. Solo alcuni dettagli sottilissimi lasciavano capire che erano dei deepfake.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div"]

Adesso è anche una realtà professionale

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Alt: quanto dice il titolo non significa che screditare persone è diventato un lavoro. Giulio Falchi, esperto di UI, ce lo dimostra con una notizia che porta con sé dell’incredibile. Per chi è fan di Star Wars, probabilmente conoscerà la recente serie tv “The Mandalorian”.

In questa serie appare il volto di un giovanissimo Luke Skywalker. Ma, essendo l’attore ormai quasi settantenne, il viso è ricostruito al computer: il risultato ha fatto molta critica.

A questo punto uno youtuber che si fa chiamare Shamook ha ricreato il volto della star del cinema attraverso il deepfake. Ciò che ha fatto batte il lavoro originale su tutta la linea.

“Convince così tanto che quel youtuber ha ricevuto un’offerta di lavoro dalla Lucasfilm, la casa produttrice di The Mandalorian. A questo punto dobbiamo chiederci: il deepfake è per forza un’arma contro la nostra identità?” Giulio Falchi, esperto di UI.

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Realtà virtuale e salute: VR come supporto per le terapie

Tempo di lettura: 2 minuti[vc_row][vc_column][vc_column_text]REALTÀ VIRTUALE VR SALUTE - Ormai lo abbiamo constatato: le applicazioni della realtà virtuale sono incalcolabili, spaziando in ogni ambito immaginabile. Nei recenti appuntamenti con il Tech Corner abbiamo visto tantissime alternative in questo senso: non solo, abbiamo capito quanto progresso si può ancora fare. Stavolta guarderemo a quello che probabilmente è l’uso più utile alla nostra società. Terapie di diversi tipi per molti disturbi: la realtà virtuale e la salute vanno a braccetto per fare un altro balzo in avanti nel progresso.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

La realtà virtuale e come può essere sfruttata

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]La realtà virtuale ha avuto il suo primo contatto con la medicina già da decenni: si parla infatti dei primi anni ottanta. In questi ultimi anni, tuttavia, si sono visti i risultati migliori, dovuti allo spropositato miglioramento degli strumenti per la sua realizzazione (vedi i visori VR).

Adesso la prima applicazione della realtà virtuale nella salute, come riporta la Digital Mosaick, è il trattamento di diverse condizioni cliniche. “La gestione del dolore acuto e cronico, i disturbi d’ansia, le fobie, i disturbi da stress post-traumatico (PTSD), i disturbi alimentari, l’autismo e la riabilitazione”.

Sono tutte condizioni che trovano svariate difficoltà e di cui non possiamo parlare a cuor leggero. Fortunatamente la tecnologia continua a proporre alternative che possano aiutare le persone con tali problematiche, portando anche molti successi.[/vc_column_text][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][dfd_heading subtitle="" content_alignment="text-left" enable_delimiter="" undefined="" title_font_options="tag:h2" subtitle_font_options="tag:div" tutorials=""]

VR: esempi di aiuto per la salute

[/dfd_heading][dfd_spacer screen_wide_spacer_size="50" screen_normal_resolution="1024" screen_tablet_resolution="800" screen_mobile_resolution="480"][vc_column_text]Ecco alcuni esempi di come la VR possa supportare la nostra salute in situazioni complesse. Diverse terapie possono fare uso di questa tecnologia, trattando direttamente il problema dei pazienti. Dal PTSD alla terapia del dolore, la realtà virtuale può diventare perfino il sostituto di alcune medicine.

Partiamo dal trattamento del disturbo da stress post-traumatico. Chi soffre di questo disturbo è impegnato ad affrontare una terapia che gli permetta di non avere ricadute durante la propria quotidianità. La realtà virtuale, in questo caso, riproduce degli scenari traumatici per i pazienti, permettendogli di affrontare il loro disturbo in un ambiente protetto e sicuro.

Un altro traguardo stupefacente riguarda la terapia del dolore. L’immersione nella realtà virtuale aiuterebbe i pazienti sottoposti a trattamenti invasivi. Un dato incredibile pubblicato da Healthcare Innovery rivela che, in media, la VR riduca il dolore percepito del 24%. Questa cifra è pressoché la stessa raggiunta dagli antidolorifici oppiacei.

Per saperne di più clicca qui.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]